venerdì 2 settembre 2011

Pietre coreane/8

Ottava parte

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Per leggere la settima parte: http://strane-storie.blogspot.com/2011/09/pietre-coreane7.html

Chiusa la storia delle scritte e dopo aver mandato segretamente un regalo ad Alex per scusarmi, tornai a dedicare le mie energie alla punizione che avrei dovuto infliggere al Corea.
Jack Bicipite sembrava cambiato sul serio. Convinse suo padre a mandarlo a studiare fuori città, lontano dalla maschera che si era costruito. Nei mesi successivi diventò un ragazzo serio e riuscì a farsi nuovi amici. Imparò a sfogare le sue inquetudini attraverso la musica e diventò il batterista di una piccola band rock.

Dopo una settimana di tormenti decisi che era giunto il momento di passare all’azione. Avrei scavato senza pietà nell’inconscio del Corea e –ne ero certo– qualcosa sarebbe senz’altro saltato fuori.
Quella notte tornai così in quella villa col giardino profumato. Gli alberi ben curati erano immobili come l’aria notturna.
Mi fermai vicino ad un grande vaso. Giunsi le mani, le aprii e quando si formò lo schermo scrissi: “COREA”
Mi ritrovai sempre lì, vicino al vaso.
Perplesso iniziai a guardarmi intorno. Sentii un singhiozzio poco distante.
Mi spostai ancora, sempre muovendomi con estrema cautela.
Ero vicino alla piscina adesso. C’erano i resti di una festa finita da poco, gli invitati se n’erano andati ormai tutti. Era rimasto solo il padrone di casa, il Corea, seduto su una sedia a dondolo.
Eccolo il maledetto. Solo, senza nessuno, senza i lecchini, gli zerbini, la famiglia, la servitù. Solo con i suoi incubi, come ogni uomo.
Il viso era contratto e infelice, guardava malinconico l’acqua placida impastata di cloro.
Stringeva fra le mani un reggiseno rosa. Poi lo gettò a terra e si asciugò le lacrime con un fazzoletto.
Piangeva? Il Corea stava piangendo?
Probabilmente –insinuai malignamente– gli è andata male con quella ragazza. Mi domandai dove fosse sua moglie. Perché non stava lì a consolarlo?
Mi portai le dita alla tempia ed entrai.
Ci ritrovammo in un vasto deserto. All’orizzonte non c’era nulla, nemmeno il cielo. C’era solo lui, il potente Corea, solo nel deserto e basta.
Così tutto mi fu chiaro.
Uscii dal suo inconscio e tornai a guardarlo.
Aveva soldi, aveva il potere, aveva le donne, era temuto e rispettato ma era probabilmente l’uomo più solo di tutta la città.
Non aveva un amico.
Non aveva una famiglia. I figli e la moglie lo disprezzavano. Si limitavano ad usare di riflesso la sua forza.
Non aveva nessuno che gli volesse bene.
Provai pena per lui.
Compresi che non c’era bisogno del mio intervento. Lentamente scivolai fra le piante e tornai a casa.

Fu una decisione che non fu accettata dai miei amici. In particolare Chiara mi accusò di essere un buonista: “Ti sei arreso proprio nel momento in cui forse era più facile attaccare quel bastardo”
“E’ vero il Corea mi ha fatto compassione” –le risposi– “ma continuo a pensare che non debba guidare la città. Continuo a pensare, che in certi posti di responsabilità dovrebbe starci il meglio di una società, non gente corrotta anche nell’animo come lui. Ma non è compito di un Mostro come me mandarlo via. Spetta alla gente, alle persone condurre il destino della propria terra verso destinazioni diverse. Se tutti sono indifferenti ed egoisti, se il bene di tutti non interessa a nessuno, io posso anche costringere il Corea ad andarsene. Ma la gente egoista e indifferente manderà al posto suo un altro come lui e la storia si ripeterà. Io penso sia possibile combattere l’indifferenza e costruire un mondo migliore. Ma anche questo non è il compito di un Mostro. Io quella notte mi ero recato lì per punire il Corea e ho visto il vero volto di Silvano Borelli: un uomo solo e infelice. E non esiste una punizione peggiore di questa.” 

FINE

2 commenti:

  1. Bene, bene, spero di vedere ancora Urano su questo blog ^_^

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  2. Penso proprio che scriverò nuove storie con Urano...caro "anonimo" commentatore

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