martedì 29 novembre 2011

La Fame/2

Seconda parte


Da quella prima volta erano passati circa due anni. Quando vedeva Giulia non provava quella sensazione di serenità che immaginava fosse l’amore. Provava inquietudine. La paura quasi che lei avesse Fame di nuovo e lo trascinasse in qualche luogo isolato e lo divorasse ancora una volta.
Le prime volte, quando rientrava a casa dolorante e svuotato, si prometteva che l’avrebbe lasciata e sarebbe tornato a dedicarsi ai suoi studi. Si era immaginato più e più volte la scena dell’addio. Le si sarebbe avvicinato delicatamente: “Tesoro la nostra storia non funziona” (“No! Non puoi dirmi così!”) “Tesoro mi dispiace ma dovremmo prendere una pausa di riflessione” (“E’ colpa mia, dimmelo se è colpa mia, ho sbagliato in qualche cosa?”) “Tesoro mi dispiace” e allora lei sarebbe fuggita in lacrime e lui sarebbe stato libero. L’amore non faceva per lui. Quel tipo di amore non faceva per lui.
Ma non trovava mai il coraggio di farlo. Giulia c’era sempre quando aveva bisogno di condividere una gioia o un dolore. Giulia lo difendeva sempre e i suoi consigli erano sempre saggi e giusti. E poi Giulia lo aspettava sempre con gli occhi devoti delle innamorate di un tempo. Come poteva lasciarla? Come poteva tradire quel suo sguardo dolce e profondo?
Aveva cercato, quindi, di parlare con lei di quel problema. Insieme avrebbero potuto trovare una soluzione. Ma ogni volta che lui accennava al sesso, a Giulia tornava la Fame e lo travolgeva. Rimaneva così a galleggiare in una perenne indecisione confidando ogni volta che quella sera lei avesse un mal di testa o il ciclo o cose simili e saltassero l’appuntamento con la perversione.
Poi un mese prima era arrivato il terremoto.
Era una mattina come tante altre, si era alzato all’alba, aveva fatto colazione e si apprestava ad andare all’Università, dove era divenuto nel frattempo ricercatore. Sua madre lo fermò sulla porta: “So tutto!” –disse sorridente e commossa– “La mamma di Giulia non sa tenere i segreti! Le hai chiesto di sposarla!”
A quell’annuncio la valigetta era caduta a terra. Il dolore era tornato improvviso e lacerante. Le gambe si irrigidirono. Il cuore partì in quarta. Supplicò il suo corpo di fermarsi. Si riprese a fatica e liquidò sua madre con la scusa dell’Università e fuori di casa chiamò Giulia allarmato. Scoprì che lei aveva deciso già tutto. Si sarebbero sposati quell’estate.
“Non è bellissimo amore?” concluse lei. Lui annuì poco convinto, attaccò il telefono e pensò che avrebbe trascorso tutte le notti con lei. Con la sua Fame. Sentì il fuoco bruciare e il dolore tornare. Si accasciò ad un muro e si accorse che tremava e sudava.
“Ha bisogno di aiuto signore?” domandò una ragazza. Lui la mandò via, si alzò, si asciugò e salì sulla sua auto. Arrivò a casa di Giulia e le chiese di scendere.
La ragazza lo accolse sorridente e devota: “Ciao futuro maritino.”
“Maritino un corno” le rispose. E tutta la rabbia repressa in quasi trent’anni di vita uscì come lava da un vulcano, iniziò ad urlare e liberò tutti gli urli rimasti prigionieri quando soffiava la notte sulle scale.
Le urlò che era la peggiore donna dell’universo, che non poteva calpestarlo in quel modo e che non si sarebbero mai sposati. Anzi la storia finiva in quel momento preciso. Finalmente libero, lui guardò la Divoratrice e temette che le fosse tornata la Fame. Invece la ragazza lo fissò sgomenta e –lasciandolo senza risposte– scappò in lacrime, biascicando le peggiori parolacce di questo mondo.

Guardò la sveglia accanto al comodino. Era una notte interminabile, il sonno non arrivava. Si domandò perché avesse ripercorso mentalmente la sua storia con Giulia.
Il dolore tornò a tradimento. Si contrasse su se stesso e stanco di soffiare, finalmente gridò. Sentì un gemito nella stanza dei suoi. Sudava.
Poteva continuare così? No che non poteva. Doveva raccogliere il coraggio di quella mattina e lasciarla definitivamente. Ma poi si ricordò la seconda parte di quel giorno.  
Lui l’aveva vista andar via, arrabbiata e disperata, e aveva sentito un altro dolore che non gli lacerava il corpo ma l’anima.
Poi aveva sentito un altro fuoco ma non stava bruciando l’inguine ma il cuore.
Poi aveva sentito voglia di essere travolto, divorato, distrutto, sottomesso. 
Aveva Fame. 
Sentì i suoi occhi iniettarsi di sangue e il suo viso perdere ogni lineamento. Fame. Fame. Fame. Poi scoppiò a piangere. Giulia era diventata la sua droga, dipendeva da lei, dalla sua Fame. Anche se gli faceva male e gli procurava dolore fisico, ne sentiva un bisogno fortissimo.
“Passerà” si era detto. Invece nei giorni successivi si svegliava sempre più inquieto e nervoso. Ogni cosa ricordava Giulia, ogni cosa gli faceva venire Fame.
Per non pensarci si buttò anima e corpo nel lavoro. Ma, dopo pochi muniti, vedeva il suo computer perdere ogni dolcezza e trasformarsi in lei. Ebbe Fame come mai in vita sua. Si morse una mano dalla disperazione, ma la Fame era più forte. La Fame iniziò ad espandersi dentro di lui. Il suo stomaco aveva Fame, il suo fegato aveva Fame, il suo cuore aveva Fame, i suoi polmoni avevano Fame, la sua anima aveva Fame.
Prese il telefonino e cercò il numero di Giulia sulla rubrica. Si fermò. Come poteva chiedergli di fare l’amore dopo che l’aveva trattata in quel modo.
Uscì dall’Università in anticipo con la scusa di un’emicrania. Si diresse nel parcheggio. Sapeva che c’erano donne africane che per pochi euro si vendevano. La trovò subito una disponibile. La trascinò nella sua automobile e iniziò a baciarla e a spogliarla. Ma pochi minuti dopo si stufò e lasciò perdere. Quella prostituta non poteva compensare la sua Fame.
Gli ci vollero diciannove giorni, quattro ore e ventisette minuti per ottenere il Perdono di Giulia. La ragazza sulle prime non si fidò, poi non era sicura di amarlo ancora, poi non era sicura che lui lo amasse veramente. Ma alla fine si erano fidanzati di nuovo. Lui aveva ceduto su tutta la linea, alla fine aveva accettato anche il matrimonio quell’estate. Mancavano solo quattro mesi alla data stabilita.
Quella notte avevano fatto di nuovo l’amore. Avevano soddisfatto entrambi la loro Fame. Lui era ritornato dolorante a casa e con il dolore era tornata la sua inquietudine. Si domandò se era davvero pronto ad unirsi tutta la vita con lei. Tutta la vita con la sua Fame. Sentì il male ritornare. Grossi aghi li perforarono la pancia, l’inguine, le gambe. I piedi si bloccarono e lui soffiò per non gridare. Tutte le notti così. E iniziò a tremare…

FINE

lunedì 28 novembre 2011

La Fame/1

Prima parte

Rientrò a casa a notte fonda. Ringraziò il Cielo che fosse così tardi, perché se qualcuno l’avesse visto in quelle condizioni, avrebbe dedotto scandalizzato che avesse alzato il gomito. Invece era lucidissimo. Se stava così era tutta colpa del dolore. Un dolore atroce che gli bruciava le parti intime e gli faceva sentire le sue gambe rigide e bloccate e i piedi aperti e piatti, come un’anatra. Risaliva le scale aggrappandosi alla ringhiera, barcollava e cadeva giù. Chiudeva gli occhi, lacrimava, riprendeva fiato, soffiava e saliva, sperando di arrivare presto alla meta. Sapeva che tutto ciò non faceva bene al suo fisico, il suo buon senso gli consigliava di recarsi al più presto da un medico. Ma lui non l’avrebbe mai fatto. Si vergognava. Aveva immaginato più volte la scena dell’ipotetico colloquio. Lui col volto basso confessare l’origine di quella sofferenza e il dottore che lo guardava col sorrisetto che riservava ai pazienti imbecilli. E se il suo strano caso –per vie traverse– fosse giunto alle orecchie dei suoi conoscenti? Impallidì soltanto all’idea. Nessuno lo avrebbe capito e sarebbe diventato la barzelletta della città.
Il suo era davvero uno strano caso. Tutto quel dolore era dovuto al fatto che la sua donna lo amasse troppo. Poteva lamentarsene –anche solo nella stanza asettica di un ospedale– quando, ricordava bene i sospiri dei suoi amici innamorati perché le loro fidanzate erano sempre così limitate?
Qualcosa si ruppe sotto l’ombelico. Soffiò più forte per non gridare. Grosse spine pungevano sotto la sua pelle cercando di squarciarla.
Si accasciò sui gradini gelidi. Come invidiava le donne limitate dei suoi amici. Loro non tornavano così a casa.
Poi il disagio fece di nuovo capolino.
Perché non riusciva ad apprezzare la sua Giulia come avrebbe fatto –ne era certo– il novantanove per cento degli uomini?
Si rialzò e a fatica conquistò il portone. Il suo corpo tornò a bruciare e lui a soffiare. Strusciando arrivò fino al letto. Il male scivolò via ma non riuscì a chiudere occhio.
Iniziò così a pensare.
Aveva conosciuto Giulia quando era uno studente secchione che passava le sue giornate chiuso in biblioteca. Stava lavorando per la tesi –concludeva l’Università con un anno di anticipo– e l’aveva impostata su un argomento originale e impegnativo che aveva stupito i professori. Minuzioso com’era cercava ovunque il materiale che gli servisse e con quello studio matto compensava la sua solitudine, dato che, uno dopo l’altro, aveva perso tutti gli amici di un tempo.
Poi un giorno nacque in lui il desiderio di amare.
Arrivò all’improvviso. Prima non riteneva fondamentale per la sua esistenza avere una compagna. Dedicava la sua vita ad altro, alle sue passioni, alla musica, all’arte, ai viaggi, allo studio. Nel suo mondo non c’era bisogno di una donna. Ora gli sembrava impossibile vivere senza. Iniziò così la sua ricerca. Iniziò battendo tutte le strade possibili del rimorchio: le code in facoltà, i sorrisi fugaci per strada, le colleghe in biblioteca, le chat di Internet. Alla fine come nei classici, quando ormai disilluso, stava per gettare la spugna, arrivò Giulia. Si conobbero un sabato mattina, nel salotto di casa. Il suo futuro suocero stava male in quel periodo e, insieme a sua madre –lontana amica di quella famiglia– erano passati a trovarlo.

Ricordava bene quell’attimo in cui i loro sguardi si erano incrociati. Giulia aveva abbozzato un sorrisino, lui aveva ricambiato.
E mentre immaginava di scaldarla con un abbraccio e la guardava imbambolato, Giulia si era alzata, determinata e decisa e lo aveva avvinghiato: “Mi dispiace per tuo padre. Spero si riprenda presto”. Lui si sentì invadere da un calore mai sentito prima e le aveva accarezzato i capelli, sperando che quel momento non finisse mai.
E tutto era iniziato da lì. Con la scusa del padre malato, si sentivano spesso e senza neanche capire come si fidanzarono. Ricordava l’orgoglio con cui, mano nella mano, passeggiava con lei nei corridoi dell’Università. Tutti li guardavano (invidia? stupore?) e lui era felice.
Una settimana dopo erano usciti insieme. Era una sera felice e lui vedeva le stelle anche se il cielo era più oscuro del solito. Giulia lo aspettò sotto casa frenetica e felice. Si scambiarono un bacio timido. Erano impacciati, erano entrambi alle prime esperienze anche se avevano superato da un pezzo l’adolescenza.  
Lui aveva voglia di andare oltre, ma non ne aveva il coraggio. Era presto, era ancora troppo presto. E poi aveva paura di spogliarsi, certo di emanare un pessimo odore, malgrado la sua mania per l’igiene: “D-dove vuoi che ti porto amore?" -le domandò timidamente- "Questa è la nostra prima sera insieme”
“Oh io conosco un posto. È proprio bello. Però…”
“Però?”
“Non vorrei sembrarti troppo…come dire…”
“Tu non mi sembrerai mai troppo.”
“Vorrei farti una sorpresa. Posso guidare io?”
“Certo amore.”
Si scambiarono i posti e lei partì. Inchiodò poco dopo. Ripartì quando lui –dopo una breve resistenza– acconsentì a farsi bendare. Lei riprese il volante e guidò sicura per qualche chilometro.
Lui non vedeva niente. Ogni tanto chiedeva se poteva abbassare la benda e Giulia ridendo gli diceva di no. Quando si fermarono lui richiese il permesso, ma lei non gli rispose nemmeno. Non voleva togliersi la benda per educazione e usò, allora, gli altri sensi per capire dove fossero: sentì intorno a sé un silenzio profondo, poi odorò il profumo dell’oscurità, poi il profumo di Giulia.
Scoprì di essere nudo.
Balbettò qualcosa e in pochi secondi disse addio alla sua verginità. “No! Non così” piagnucolò dentro la sua mente.
Si strappò la benda e vide –per la prima volta– la sua Giulia trasformata, i suoi occhi piccoli e bianchi, i capelli arruffati, la violenza animale e primordiale contratta in ogni suo muscolo. Non sembrava più un essere umano.
Giulia aveva ruggito: “Ancora! Ancora! Ancora!” ed era ripartita. Lui aveva tentato un goffo abbraccio ma poi aveva ceduto alla voracità della sua donna. “E’ posseduta dal Demonio” pensò terrorizzato, senza provare nessun tipo di piacere e sperando che tutto finisse in fretta.
Giulia era fragile, tenera, pratica e silenziosa. Non rompeva le scatole a nessuno e nessuno le rompeva a lei. Erano una coppia perfetta, la cui massima ambizione per il futuro erano una casetta col giardino e lo stipendio fisso a fine mese.
Ma quando arrivano quei momenti Giulia si trasformava. Nell’oscurità in cui si appartavano, lui sentiva la sua ansia crescere. La sua Fame. Lui si avvicinava timidamente, le sfiorava la pelle e in pochi secondi si ritrovava capovolto. Stordito, non capiva più niente. Intanto lei lo divorava, il suo volto da brava ragazza si trasformava, perdeva ogni lineamento, ogni segno di grazia. Lui stava lì sottomesso e fermo e aspettava la fine. 
Giulia non era mai soddisfatta e se lo era aveva ancora più Fame. Dopo pochi minuti –il tempo di respirare, riprendere fiato e dolcezza– tornava a divorarlo senza che lui riuscisse neanche a capire. E ancora, ancora, ancora, fino a quando lei non era esausta, si appoggiava al finestrino e dormiva. Lui allora riprendeva i sensi, la conoscenza di sé, accendeva la macchina e riportava la bestia a casa. Sentiva il male attraversargli il corpo e aveva voglia di gridare ma non gridava perché lui non gridava mai. Soffiava però, perché per non esplodere, il dolore doveva in qualche modo uscire dal suo corpo.

Continua...

martedì 15 novembre 2011

Non è un paese per giornalisti (la libertà di stampa a Cisterna)

Fino a poco tempo fra i commenti di un noto blog locale era facile trovare –indipendemente dal post riportato– insulti e attacchi di vario genere da parte di alcuni anonimi. L’obiettivo era sempre lei: Daniela Del Giovine, corrispondente da Cisterna per “Latina Oggi”, lo storico quotidiano della provincia pontina un tempo proprietà del fascista Ciarrapico ed ora passato nelle mani di una cooperativa indipendente. Prima che finalmente i gestori del sito iniziassero a filtrare i commenti, Daniela veniva insultata e attaccata per i suoi articoli, sgraditi da sempre a chi comanda in città. Eppure il mestiere del cronista è proprio questo: riportate le notizie, anche se a qualcuno non piacciono. “La stampa libera” –ci spiega Daniela– “crea cittadini consapevoli. Il cittadino che ha la possibilità di avere tante informazioni, di metterle a confronto, diventa un cittadino consapevole. La consapevolezza porta l'individuo a fare delle scelte nella sua vita, nel suo lavoro, in politica, in ogni momento della sua giornata. Un bambino ha bisogno di essere sostenuto, indirizzato e guidato, un uomo diventa adulto quando compie scelte in base alla sua esperienza ed in base alle informazioni in suo possesso. Così un popolo, diventa adulto quando ha la capacità di elaborare tutte le informazioni esistenti in un dato periodo storico. Ma le informazioni devono esserci.” Ma Cisterna non è un paese per giornalisti, specie se liberi. Come tutta l’Italia purtroppo. Il nostro Paese detiene il record europeo di cronisti sotto scorta e nella classifica dell'organizzazione indipendente americana "Freedom House" siamo al 73° posto, fra il Benin e la Repubblica di Tonga. Una posizione che ci rende ultimi nell'UE e che ci umilia al rango di "stato semi-libero". Dopo le censure degli anni 2000 (la più celebre é senza dubbio l'editto bulgaro) oggi l’arma più potente contro la stampa, soprattutto per quella di provincia composta perlopiù da giovani precari, è l’arma della denuncia: “Il nostro sindacato” –ricorda– “le chiama querele temerarie. Vengono richieste delle cifre allucinanti di danni, cinquanta-centomila euro solo per aver “citato” questo o quella persona importante. Con i tempi della giustizia italiana, sono un fardello pesante da sopportare. A volte basta la paura di dover metter un avvocato costoso a condizionare molti. E molti scelgono la strada dell’autocensura. Io per quanto mi riguarda, tento di raccontare le storie in tutte le loro sfaccettature comunque, a volte penso che quel minimo di conoscenza del diritto per me sia stata l'unica salvezza finora. Insomma a volte è meglio raccontare, danzando sulle punte e dicendo sempre le cose come stanno” Ma se danzare sulle punte forse fa sfuggire alle querele, la vita di un giornalista non è mai serena: “Ormai ognuno di noi mette in conto che riceverà minacce, pressioni, insulti. Io ho tanto da imparare da chi in Italia e anche in questa Provincia va avanti compiendo il suo lavoro e subendo di tutto. A me la cosa che capita più spesso è che ad esempio Tizio dice una cosa sgradevole su Caio. Caio la legge sul giornale e si arrabbia molto ma poi se la prende con la sottoscritta. Io replico loro quando mi urlano al telefono: ma rispondi a chi ti dice certe cose, io le ho soltanto riportate. A volte ricevo persino dei comunicati stampa, delle cose inopinabili. Il principio assurdo è che la colpa è sempre del giornalista che scrive certe storie, non di chi le fa.” Ma un giornalista che riporta certe storie che colpa ha? Non sta facendo il suo mestiere come lo facevano i maestri che fanno studiare nelle scuole del mestiere: Enzo Biagi, Indro Montanelli, Oriana Fallaci? Non sta semplicemente esercitando un diritto riconosciuto dalla Costituzione, quella sulla quale tutti i politici giurano quando entrano in carica e che all’articolo 21 proclama con solenne semplicità: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. “Quelli che vogliono distruggere la Costituzione” –commenta la giornalista– “non sono dei pazzi ignoranti. Sono, al contrario molto preparati perché sono ''consapevoli'' delle garanzie poste nella Carta e che per loro sarebbe meglio cancellarla. Chi vuole smantellare certi articoli è perché è ''consapevole'' della rigidità delle regole e soprattutto che uno non può fare come gli pare. Quando si legge la Costituzione, si leggono le sofferenze subite da un popolo e l'amore dei costituenti per le generazioni future, perché grazie a lei nessuno può alzarsi la mattina e dire tolgo questa o quella garanzia e tutela. I nostri padri ne sapevano qualcosa e ci hanno lasciato un grande dono.” Ma secondo Daniela Del Giovine anche i lettori, l’opinione pubblica, ha le sue colpe se la libertà di stampa è sempre sotto pressione: “Quanta curiosità e fame di notizie hanno i cittadini? Quanti sono gli individui adulti e consapevoli che vogliono scegliere il loro destino ogni giorno? Quanti sono curiosi? Secondo me c'è una proporzione anche in questo. Questa è la terra dove si scambiano diritti per favori. Possono dare retta a qualcuno che ti scrive le cose come stanno? Tante persone consapevoli fanno la Libertà di Stampa. Bisogna avere fame di notizie, poi tutto il resto arriva da solo” Inutile chiederle se lei o i suoi colleghi hanno mai ricevuto solidarietà, anzi la sua risposta è durissima: “Quando si arriva agli estremi, ad avere cronisti e scrittori sotto scorta, o addirittura uccisi, significa che è già troppo tardi. Poi facciamo le manifestazioni con la faccia dello scrittore, ma li strumentalizziamo solo per dire che combattiamo per la libertà di stampa. In realtà un giornalista è solo, perché chi fa bene questo mestiere non fa comodo a nessuno. Ma con la rivoluzione araba si è dimostrato che è la censura è inutile. Oggi i mezzi di comunicazione sono tanti, basta un video caricato sul Web da qualsiasi cittadino per dare una notizia. La stampa tradizionale ha due possibilità: o si adegua e compete con le notizie che provengono dai cittadini, offrendo chiavi di lettura autorevoli o soccombe.”  

Articolo uscito sul numero di novembre di Collettivamente, rivista ufficiale dell'associazione Eupolis di Cisterna.