lunedì 30 aprile 2012

San Valentino, la discarica nel Parco


Il Parco del quartiere San Valentino è un luogo a me molto caro. Siamo cresciuti insieme (lui è nato qualche anno dopo di me) e vivendoci praticamente accanto, è stato nella mia infanzia un fedele compagno dei giochi e in seguito, lo sfondo di molti momenti, felici e non, della mia vita.



Oggi il Parco è molto cambiato rispetto a quegli anni: i viali sono stati mattonati, sono cresciuti gli alberi, c’è una vasta area giochi. Per questo luogo provo un affetto molto forte, la più alta forma di amore che si possa provare per un luogo. Credo che quest’amore sia condiviso anche dalle tante persone che ogni giorno usano i suoi diecimila metri quadrati per rilassarsi, camminare, correre, portare a spasso i cani o i figli, passeggiare tranquilli e stare all’aria aperta. 




Personalmente il luogo del Parco che amo di più è il lato fra il campo sportivo e la campagna di Torrecchia. E’ la parte meno frequentata e per questo più naturale e selvaggia. A pochi metri di distanza c’è un paesaggio da Mulino Bianco e la casetta abbandonata. Oggi è stata murata ma quando ero bambino ci si poteva entrare e arrivare fin lì era la nostra prova di coraggio: bisogna passare attraverso i campi, sfidare i pastori maremmani cattivi e randagi, sperando infine di non sorprenderci dentro qualche coppietta in azione.


E’ stato per me un profondo dispiacere vedere che questo lato del Parco è lasciato nell’incuria e nel degrado. Vetri rotti, cartacce, plastica, mozziconi e pacchetti di sigarette, resti di falò e perfino un grosso piumone di lana. Sono tornato diverse volte da quando ho scoperto per la prima volta la mini discarica e la sporcizia è aumentata. Il Parco ha un cuore grande e accoglie tutti, compresi gli idioti e i cretini. Ci sono più cestini che alberi e si può evitare di gettare le cose in terra. Ma capire a cosa servano i cestini è un ragionamento troppo complicato per certe persone nate senza cervello. 



Immagino che purtroppo la gente senza cervello si comporti allo stesso modo nel resto del Parco. Ma la situazione non degenera perché, per fortuna, il grande giardino viene regolarmente pulito e curato dal Comune. Perché invece questa parte viene ignorata? Perché tanto ci passano in pochi e quindi nessun elettore nota l’immondizia? Il Comitato di quartiere, sempre in prima linea nel ringraziare il signor Sindaco, non si è accorto di nulla? E quel signore con chiare ambizioni politiche che si è auto-nominato rappresentante del quartiere e scrive lettere di fuoco a “Latina Oggi” non ha niente da dire? E la brava gente, che urla alla finestra contro i  “teppisti” che la notte osano chiaccherare nel Parco, neanche loro hanno qualcosa da dire? 





mercoledì 25 aprile 2012

25 aprile...




Nada Dahif è stata picchiata e torturata. E’ stata ventidue giorni in isolamento prima di uscire dalla prigione. E’ un medico e ha soccorso e curato gli attivisti massacrati dalla polizia politica del Barhein, emirato del Golfo Persico. E il regime che schiaccia senza tregua quel paese ha deciso di prendersela anche con lei. 


Alcune settimane dopo aver manifestato contro il dittatore chiedendo giustizia e libertà, Karim, studente diciottenne di Dera’a (Syria) è stato catturato in piena notte dai soldati dell’esercito. Hanno fatto irruzione in casa sua e lo ha trascinato via bendato, sotto gli occhi inermi e sconvolti dei familiari. In prigione è rimasto due settimane. Durante il primo interrogatorio, gli hanno strappato la pelle delle gambe usando delle tenaglie di ferro perché si è rifiutato di rivelare i nomi di altri partecipanti alle manifestazioni. Una notte è stato costretto ad assistere allo stupro di un suo coetaneo. “Gli hanno calato i pantaloni” –ha raccontanto ad Amnesty International– “e poi un ufficiale lo ha violentato sbattendolo contro un muro. Quel ragazzo piangeva, si disperava e invocava invano pietà.”


Lobsang Sherab aveva 20 anni e un profilo su Facebook. Aveva già deciso di dedicare la sua vita alla meditazione ed era diventato da poco monaco buddista. Ma un giorno ha lasciato il convento di Kirti dove viveva, è sceso nella città di Chara e si è dato fuoco. Si è immolato per la libertà del Tibet, sessant’anni sotto la repressione cinese.


Oggi è il 25 aprile. Festa della Liberazione. In memoria di uomini coraggiosi che combatterono contro un nemico feroce e potente per restituire all’Italia libertà e democrazia. Ma anche la democrazia italiana è fragile e talvolta i diritti costituzionali vengono calpestati. Come successo nel 2001 nella scuola Diaz di Genova con i suoi colpevoli in gran parte impuniti. O quando sono state approvate leggi razziste verso gli immigrati o i Rom. O quando i lavoratori si trovano costretti a scegliere fra mantenere i propri posti di lavoro o conservare i propri diritti sindacali.


Vorrei dedicare questo giorno ai partigiani di ieri che lottarono contro il fascismo. Ma estendere il pensiero a Nada, Karim e Lobsang e a tutti i partigiani di oggi che lottano per la libertà, per la democrazia, per un mondo più giusto e più umano in Italia e in ogni parte del mondo. 

sabato 21 aprile 2012

Nasce Cyrano, il Portale Letterario di Cisterna

Ho deciso! Alea iacta est, tutto è compiuto, niente sarà come prima. Attraverso il Rubicone delle mie incertezze e della mia pigrizia. In marcia verso Roma, ma probabilmente ci fermeremo prima o forse si andrà oltre, ancora più lontano, fino alle Colonne d'Ercole e magari oltrepassare anche quelle perché "fatti non foste a viver come bruti" eccetera eccetera quel verso di Dante ormai lo conoscono tutti. Ma non lasciate ogni speranza voi che entrate, perchè non vogliamo costruire l'Inferno. Puntiamo direttamente al Paradiso. Lasciatevi dietro però pregiudizi e paure, siete liberi di portarveli con voi -per carità- ma saranno pesi inutili lungo il cammino. Curatevi piuttosto di avere con voi la libertà. Libertà e anche suo fratello il Coraggio, sennò sarà difficile sfidare l'infinito, andare verso l'orizzonte e superare i confini del mondo come l'Ulisse dantesco perchè quel verso appunto lo conoscono tutti ma pochi lo applicano davvero.

Insomma finalmente ho creato su Facebook il Portale Letterario di Cisterna. Si chiama Cyrano come quella canzone di Guccini. Se piangete ogni volta che la sentite ("infilerò la penna fin dentro al vostro orgoglio perché con questa spada vi uccido quando voglio") siete i benvenuti in questo gruppo.
Se sentite dentro di voi, ogni tanto, un Comandante De Falco che vi ordina "Vada a scrivere cazzo!" siete i benvenuti. Siete i benvenuti anche se anche se avete brave vocine interiori che al contrario della mia non dicono le parolacce. Siete i benvenuti anche se siete persone normali e non sentite voci ma vi piace comunque scrivere. Non abbiate paura di scrivere. E sopratutto non abbiate paura di farvi leggere, tutti si fanno leggere al giorno d'oggi, meno che gli scrittori. Ma ora c'è il Portale e ci aiuteremo a superare complessi, resistenze e paure. Lo Schettino che è in noi per restare in tema Concordia e in tema navigazione visto che questo post odora di mare e la Scrittura è anche una traversata dell'Oceano.

Dite che tutto 'sto pappone, tutte 'ste citazioni lassù sono mostruosamente esagerate per un minuscolo gruppo di pseudoscrittori bimbominkia e montati della provincia italiana che se riusciranno a mettersi insieme, faranno si e no due raccontini e poi si perderanno prigioneri delle loro esistenze. Magari finirà tutto con una furiosa litigata, ci prenderemo a (metaforiche?) coltellate. Amicizie millenarie moriranno. Pazienza. Tutto fa calce nella costruzione della nostra vita. E poi questa città ha un disperato bisogno di scrittori. E giovani possibilmente. E non dite che Cisterna uccide qualuque briciolo di creatività! Pochi sanno che questa città ha fatto crescere due scrittori letti e tradotti in tutto il mondo. Ma uno è un ex terrorista disgraziato sfuggito alla Giustizia di cui giustamente non andiamo fieri e l'altro vive a New York dove pare sia amico di Philip Roth e John Grisham ma da queste parte si vede ben poco.

Finora la letteratura locale è stata delegata ai soliti poeti dialettali ottugenari e i loro soliti lettori ottugenari. Onore al merito. Ma servono voci nuove. E allora orsù (come direbbero appunto i poeti ottugenari) mettiamoci in gioco. Sfidare l'Infinto e puntare al Paradiso. Superare le Colonne d'Ercole come fecero Ulisse e i suoi compagni. Dice Dante che furono puniti e gettati nell'abisso. Impossibile. La terra non è piatta e oltre le Colonne d'Ercole c'è l'America. Un Nuovo Mondo.

domenica 15 aprile 2012

Degrado e rifiuti nella Fontana Biondi

 La Fontana Biondi nacque quando Menotti Garibaldi, figlio del più celebre Giuseppe, sceso nell’Agro Pontino per avviare una tenuta agricola sperimentale, aveva scoperto che la gente di Cisterna beveva direttamente dalle paludi. Sconvolto aveva commissionato di tasca sua la costruzione della fontana, permettendo a tutti di usufruire gratis di quell’acqua limpida e pulita. Era un’epoca lontana, oggi le paludi sono scomparse e l’acqua arriva nelle case di tutti. La Fontana Biondi, al centro della piazza, con la statua della dea Feronia che schiaccia la malaria (arrivata alcuni anni dopo in occasione della visita pastorale di Pio IX) è rimasta a testimoniare la nostra storia ed è diventata il simbolo della città: lo dice persino il sito Internet del Comune con tanto di foto della statua che brilla al sole. Del resto della struttura non c’è traccia. 

Dovrete recarvi di persona in Piazza XIX Marzo, se volete vederla tutta interna, nella sua sistemazione attuale che risale agli anni Cinquanta con gli affranti di granito a simulare una montagna e studiarne i dettagli: le fontanelle in ferro da cui scivola l’acqua, le dee decapitate dalla guerra, i ragazzini che saltellano fra gli scaloni. Ma preparatevi al peggio perché come sempre quando si parla di arte e storia in questa città, la delusione sarà inevitabile. E non perché sia brutta ma perché la vasca della fontana, ai piedi della statua, è ormai ridotta ad una discarica. 


Fra il fango e la melma puzzolenti, dove in epoche remote sguazzavano i pesci, sono stati gettati e abbandonati rifiuti di ogni tipo: birre, lattine, sigarette, buste, ferraglie arruginite, gomme da masticare, bottigliette di plastica. Quando piove l’area si riempe di un’acqua giallastra e schifosa: sembra la palude che scandalizzò Menotti Garibaldi. Nel cuore della città.


Chi getta i rifiuti nella Fontana è un incivile, ma gli incivili purtroppo esistono da sempre e vivono ovunque. Dovrebbe essere il Comune ad occuparsi della pulizia e del decoro della Fontana, ma l’attuale Amministrazione sembra totalmente incapace di gestire l’arte e la cultura: Palazzo Caetani è stato ridotto ad un’osteria e ospita sagre di vini e formaggi. L’ex Convento di Sant’Antonio (noto anche come Mulino Luiselli) è abbondanato ed oggetto di speculazioni edilizie. Le antiche case del centro storico cadono a pezzi. I resti archeologici 
sono trascurati e in balia di chiunque.


Qualcuno dirà che in tempi di crisi è difficile trovare i fondi per tutte queste cose. Ma pulire e mantenere pulita la Fontana Biondi, tenere l’immondizia lontano dalla vasca e restituirle la sua dignità non è un’operazione costosa. Se davvero la Fontana Biondi è il simbolo di Cisterna, oggi questo simbolo ridotto ad una discarica. Non proprio una bella metafora. 

giovedì 12 aprile 2012

Ore Memorabili

Bruno Montari - Il mago del calcio (1935)

Se vi chiedessi: ricordate che tempo faceva una domenica fa? Non vi chiedo di risalire con la memoria a tanti anni prima, fermatevi solo a domenica scorsa. Sono certo che dovrete pensarci, che dopo poco tentennerete una risposta, mai non sarete mai sicuri. Io invece ricordo benissimo che domenica scorsa c’era un grande sole. Lo ricordo perché è stato un giorno fantastico. Ricordo tanti dettagli di quel pomeriggio. Ricordo la cronista che urlava alla tv e le campane di una chiesa che, suonando a festa, chiamavano i fedeli all’ultima messa. Ricordo che sudavo ed esultavo, ricordo il cuore che batteva forte e la gioia correre lungo le grosse vene del collo. Ricordo giù nella strada i clacson impazziti, la gente che gridava, cantava e si abbracciava. Ricordo che faticavo ancora a credere che davvero alle cinque del pomeriggio di domenica 16 maggio 2010, la Roma, la mia Roma era diventata campione d’Italia.


Era stata una vittoria inaspettata. Partiti malissimo, avevamo compiuto una rimonta senza precedenti fino a toccare il primo posto. La sconfitta con la Sampdoria aveva però cancellato le nostre speranze. Nessuno credeva che la super Inter, che proprio ieri ha vinto la Champions League, proprio quell’Inter lì, potesse scivolare contro un Siena già retrocesso. Fu un clamoroso pareggio, i nerazzurri fallirono tutti i tiri in porta. Quanto bastò alla mia squadra di volare in testa alla classifica e di conquistare il quarto scudetto della sua storia. Il più bello perché inaspettato. Il mio vicino usci a torso nudo sul balcone e sventolava la gloriosa bandiera giallorossa dello scudetto dell ‘83, la televisione trasmetteva le immagini del Circo Massimo stracolmo di tifosi.


Fu in questa bolgia di emozioni che, spinto da una forza sovrannaturale, iniziai a scrivere. Io sono un giornalista sportivo e il mio sesto senso mi suggeriva che da quella vittoria avrei potuto ricavare qualcosa. E infatti scrissi il più bell’articolo della mia carriera. Posso dirlo senza falsa modestia, era un capolavoro. Raccontai quei momenti, quelle emozioni e lo chiamai “Ore memorabili”, un omaggio affettuoso a Dino Buzzati. Lo leggevo e rileggevo e più lo leggevo più mi piaceva.


Io sono un giudice molto severo con me stesso, mi correggo e ricorreggo allo sfinimento. Non mi do pace finchè ogni parola, ogni frase, ogni suono non s’incastri nella sua giusta posizione.


Ma quella domenica non riuscivo a trovare errori. In cerca di un giudizio davvero obiettivo, feci leggere il manoscritto alla mia compagna. Non aveva mai compreso la mia decisione di continuare a lavorare con la redazione sportiva, voleva che diventassi un cronista d’assalto, che mettessi alla berlina Berlusconi e i suoi scandali. Ma persino lei dovette ammettere che avevo scritto qualcosa di sublime. Una lacrima le scese dagli occhi. Corressi qualche piccolo errore di battitura che mi fece notare e lo inviai finalmente al giornale.


Ma il giorno dopo, quando sfogliai fiducioso la mia copia de “Il Colosseo” quotidiano per il quale lavoravo, quell’articolo non c’era.


Com’era possibile? Per una volta scrivevo un articolo perfetto, il mio giornale mi censurava? Pensai ad un errore di stampa e mi recai in redazione per chiedere spiegazioni.


“Ciao Carlo” –mi salutò affettuosamente il caporedattore vedendomi arrivare– “hai scritto un articolo fantastico, non leggevo niente di simile da anni. Hai spiegato cos’è il tifo vero, cosa significhi avere una passione, cosa significhi amare ancora questo sport ai tempi di Luciano Moggi. Persino io che odio il calcio mi sono sentito colpito nel profondo.”
E se era tanto perfetto perché non è stato pubblicato?
“Precisi ordini della direzione” –sussurrò– “Dice che dedichiamo troppo spazio al calcio e ha dato ordine di ridurre lo spazio per lo scudetto ad una pagina. Per il tuo articolo non c’era spazio.”
“Cosa? Troppo spazio al calcio? Ma se fino a ieri era stava su Sky a commentare le partite!”
Il caporedattore mi guardò scrollando le spalle.


Per lui era indifferente. Per me no! Non avrei tollerato quell’ingiustizia! Sapevo che certe cose si scrivono solo una volta nella vita. Dovevo pretendere la pubblicazione di quell’editoriale! Il direttore era di provata fede interista ma non immaginavo si sarebbe piegato fino a questo punto. La sua era una prepotenza senza precedenti ed io non ero disposto a tollerarla. O pubblicava il mio editoriale o me ne sarei andato! Io non ero un verme strisciante come lui, io questo mestiere lo facevo con una certa dignità! Forse non sarebbe stato facile trovare un nuovo posto, sicuro come questo, ma si era oltrepassato il limite!


E a passi felpati, deciso a dirgliene quattro, mi diressi verso la sua stanza. “C’è Buonuomo?” ruggii alla segretaria. La donna mi guardò ciancicando una gomma: “Si certo, è dentro.” Bussai ed entrai. Il direttore era in piedi. Un ometto insignificante, un irritante leccasederi. Pelato, basso, con gli occhiali da sfigato. Probabilmente sarà anche imponente e sua moglie si diverte con uno stallone romanista, ecco perché censura lo scudetto.


“Carissimo! La stavo aspettando!”
E di colpo tutte quelle cose che dovevo dirgli si sciolsero nella mia gola.
“Ah beh bene”
(Ora capisci amore, perché non ho mai voluto fare il cronista d’assalto come volevi tu, capisci che mi succede la stessa cosa quando intervisto un allenatore, figuriamoci ad occuparmi di scandali, di corruzione, di politici)
“Ma prego parli pure lei”
“Beh io…ecco…ieri avevo scritto delle cose ma oggi non so, forse non dovrei venire qui perché immagino di no…”
Sudavo. Cazzo, pensa allo stallone romanista!
Il direttore mi stoppò con un cenno della mano: “Certo, certo. Sa ho letto il suo ultimo articolo, molto bello. Peccato non averlo potuto pubblicare.”
Ma brutto figlio di…
“Sa lei ha un gran talento, un talento da paura. Mi domando perché lo sprechi a parlare di calcio”
Mi sembrava di sentire mia moglie. No la prego.
“Che dire? Grazie.”
“Io voglio che lei metta questo suo talento per una giusta causa. Avrà saputo della mia nuova politica sportiva?”
“Beh si ma…”
“Esatto, approfitteremo dell’estate finalmente per poter parlare d’altro. Basta con questo pallone, non se ne po’ più! Riabilitiamo altri sport più nobili, conosce il tiro a piattello? Ecco voglio che scriva un articolo altrettanto bello sul torneo distrettuale di tiro al piattello!”
“Su che?”
“Il campionato regionale di tiro al piattello. So certo che saprà descrivere con incredibile maestria il brivido di un colpo sparato in aria, la sfida dell’uomo al tempo, basta un attimo e ci si gioca una carriera!”
Certo, certo. Il tiro al piattello! Come se non avessi capito che questa è tutta una subdola vendetta perché avete perso lo scudetto. Ma quanto rosichi? Pubblica il mio articolo stronzo raccomandato, leccaculo e invidioso. Tu una roba così fantastica non la farai mai.
“Certo. Certo.”


E così mi mandarono a seguire l’incontro di tiro a piattello. Con rispetto parlando, lo sport più noioso dell’universo. Sbracato su una panchina di marmo mi godevo l’aria fresca mentre baldi giovanotti sparavano ad un piatto lanciato in aria. L’eroe del circolo era la medaglia olimpionica Nello d’Argento che stravinse a man bassa. Quattro-cinque tifosi batterono le mani mentre il megafono gracchiava l’inno nazionale.


E’ passata una settimana da allora. Dal giorno dello scudetto non riesco più a fare un articolo. Ogni volta che mi metto davanti al computer, ogni benedetta volta succede la stessa cosa. Nessun blocco dello scrittore, niente di così banale. Le mani scorrono sulla tastiera, Madonna se scorrono. Il guaio era che faccio sempre lo stesso indentico articolo: l’editoriale censurato. Le mie mani partono da sole, non riesco a fermarle e prima di rendermi conto cosa succede, sul pc compare di nuovo quel maledetto articolo.


Vado avanti così da troppi giorni. Temo che non riuscirò più a lavorare. Ho seguito tutti i tornei di tiro a piattello della regione senza ricavarne niente. Come farò adesso? Dove lo trovo un altro lavoro alla mia età? Io so di chi è la colpa di tutta questa situazione. E’ colpa di quello stronzo. Poco fa ha anche chiamato, lui in persona: per il ritardo. Ho accampato scuse poco credibili, ma ho dovuto promettergli che glielo avrei inviato in serata.


E adesso che faccio? L’ansia mi tortura!
A meno che…


Tre mesi dopo


Oggi, 29 agosto 2010 ricomincia il campionato di calcio. Sono allo Stadio Olimpico e quest’anno seguirò la Roma giornata dopo giornata. Sono completamente guarito e anzi sono stato promosso direttamente sul campo. Tutto merito di un editoriale sul torneo distrettuale di tiro al piattello. Avevo raccontato i festeggiamenti e le emozioni per la clamorosa vittoria di Nello d’Argento: i tifosi in festa che suonavano il clacson per le strade, il Circo Massimo stracolmo di gente e le campane di una chiesa suonavano a festa. Avevo raccontato anche del mio vicino che aveva tirato fuori per l’occasione la gloriosa bandiera che aveva già salutato la vittoria di Nello d’Argento nel 1983. La Federazione Italiana Tiro al Piattello si commosse per quell’editoriale e mi diede una targa. “Per aver dimostrato” –disse il presidente alla premiazione– “che anche le vittorie al Tiro al Piattello sono festeggiate come quando una squadra di calcio vince lo scudetto.”

venerdì 6 aprile 2012

Lacrime dalla montagna (L'Aquila 2009-2012)

Nel 2009, dopo il terremoto dell'Aquila scrissi quest'articolo. Oggi, Venerdì Santo, sono passati esattamente tre anni dalla tragedia. Dopo tante promesse, tante chiacchiere, tanta ipocrisia, tante vergognose speculazioni elettorali ed edilizie, oggi la ricostruzione procede a rilento. Pasqua è vicina ma la Resurrezione degli abruzzesi è ancora lontana. Voglio allora proporre questa nota scritta l'indomani della tragedia: è un piccolo omaggio ad una terra forte ma abbandonata e un modo per chiedere scusa per aver contribuito, nel mio piccolo, a far dimenticare L'Aquila e la sua tragedia.


Dicono che nei boschi dell'Abruzzo abitino le fate e gli gnomi. Chissà se almeno le loro case incantate sono sfuggite alla furia della Terra che ha dimostrato, ancora una volta, l'infinita fragilità dell'uomo. Passano i secoli, la scienza e la tecnologia volano, ma bastano ancora venti infiniti secondi a spezzare vite, sogni, speranze, illusioni. Venti secondi e cadono giù -come fossero di pastafrolla- i palazzi moderni e le casette medievali; Venti secondi e i giorni cambiano per sempre. Il mondo e l'Italia guardano allibiti, non bastano le parole per commentare i corpi, bianchi come se infarinati che escono dalle macerie; o i feriti che escono nudi o in pigiama perché la sciagura è arrivata alle tre del mattino e non ha dato il tempo di indossare vestiti decenti; ha fatto il giro del mondo la foto di una donna in vestaglia, coi i capelli biondi e gli occhi gonfi di pianto; o ancora il futuro pieno di sogni dei giovani universitari sepolto per sempre sotto la Casa dello Studente, che qualche irresponsabile ha costruito "dimenticandosi" che da quelle parti la terra trema spesso. Anche l'ospedale è pericolante, i feriti li hanno curati per ore nel piazzale antistante. Sono finite le bare nel paesino di Onna -nemmeno una casa è rimasta in piedi- troppi morti in un giorno per un villaggio sperduto. I vecchi, avvolti nelle coperte, osservano scossi la desolazione, hanno il volto rugoso e scavato e lo sguardo forte di che ne ha passate tante. Dalle macerie arrivano tante notizie: una madre si è sacrificata per salvare la figlia di due anni, una storia antica e commovente; un cane continua ad abbiaiare davanti alla sua casa distrutta, non lo sa che i suoi padroni sono morti; una ragazza viene estratta viva dalle macerie in diretta tv, salvata da una trave in cemento armato; ci sono nonne che hanno perso i nipotini e piangono, perché non sanno che altro fare. Piangono i boschi, dove l'aria profuma di resina. Piange il cielo limpido delle altitudini. Piangono le pietre. Piange la montagna. Piangono anche le fate e gli gnomi. Neanche i loro incantesimi hanno potuto fermare la terribile voce della Terra.