venerdì 30 marzo 2012

Cinquecento firme per salvare il Mulino

foto di Danilo Chiariglione

Continua la mobilitazione in città contro il Piano Particolareggiato votato dalla giunta Merolla riguardo l'area dell'ex Mulino Luiselli (vedi Nel nome del cemento, l'ex Mulino sotto assedio e Ex Mulino Luiselli, vent'anni di vergogna). Il progetto prevede l'acquisizione definitiva da parte del Comune dello storico monumento e in cambio permetterà la costruzione di svariate cubature di cemento nell'area occupata attualmente dal parcheggio retrostante oltre a nuove cementificazioni a Collina dei Pini. 


Un progetto che ha suscitato aspre polemiche con la nascita di un Comitato per la Salvaguardia del Convento, guidato da Maurizio Cippitani che da oltre vent'anni si batte per la salvaguardia dell'edificio (e che nel 1994 lo salvò anche dalla demolizione convincendo l'allora Ministro della Cultura Ronchey a vincolarlo). Nel mirino della protesta diversi punti poco chiari del progetto: la demolizione di una parte dell'edificio; la speculazione edilizia e il "soffocamento" del convento schiacciato fra i nuovi palazzoni; la totale assenza di progetti per il recupero dell'ex convento; la sperequazione fra il guadagno del Comune (valutato intorno ai due milioni di euro, senza contare però il costoso restauro del Mulino) e il guadagno del privato (valutato sempre secondo il Comitato sui quattro milioni di euro). 


Per fermare il progetto, avviare una seria politica di recupero e restauro dello storico edificio dopo vent'anni di indifferenza e informare la cittadinanza su quella che appare sempre più come l'ennesima e inutile speculazione edilizia le associazioni Eupolis, Esso Chissi e il Comitato stesso hanno promosso una raccolta firme organizzata sia online sia concretamente ogni domenica in Piazza Saffi. La petizione ha riscosso un notevole interesse da parte della popolazione: sono già circa cinquecento i cisternesi che hanno sottoscritto l'appello.

martedì 27 marzo 2012

Fare un Portale Letterario a Cisterna?

Il mio amico Simone non lo sa ma ha compiuto una mezza rivoluzione. Tutto è partito da un’idea alla fine neanche tanto originale. Mette su un gruppo su Facebook, crea un piccolo blog (portalemusicale.blogspot.it) e raduna tutti i musicisti e amanti della musica della città. Subito si mette in moto un meccanismo straordinario, tanto entusiasmo perduto viene recuperato, tanta energia dispersa incanalata e dopo qualche mese in città è tutto un proliferare di band e concerti. Questa città fino a poco tempo fa era il deserto per i giovani, ora finalmente inizia a produrre qualche valida alternativa. Ma soprattutto, cosa molto importante, si incomincia a valorizzare e a stimolare la creatività e il talento delle persone.

Così da un po’ la mia testa rimugina sull’idea di ripetere la stessa operazione, radunando però i ragazzi che amano scrivere. Solo mi bloccano tante pippe mentali: la mia poca esperienza, la paura di passare per presuntuosi, il poco tempo a disposizione, la consapevolezza che la scrittura è meno immediata e più personale della musica e quindi più difficile da condividere. Inoltre io personalmente di ragazzi che scrivono ne conosco pochi, anche se sono sicuro ce ne siano moltissimi. Spesso la scrittura è un’attività così intima e personale che non esce mai dai propri computer. (io ricordo che per molti anni ebbi il terrore di far leggere i miei scritti a chiunque, va a capire perché poi…)

Che fare? Lanciarsi in quest’avventura? E come? Quali sono gli strumenti migliori per farlo? Fermo in questo incrocio da mesi, devo decidere. Che strada prendere?

mercoledì 21 marzo 2012

Hawana, ecco chi è veramente

Il viaggio lungo l’arte di strada (vedi "Stazione, vandali scatenati", "Hawana Fan Club" e "Hawana colpisce ancora"), partito quasi per caso, parlando degli ultimi bellissimi graffiti nel sottopassaggio della stazione, oggi arriva ad un punto cruciale.

Chi è veramente Hawana? A dire la verità non è difficile scoprirlo. Basta sgrufare su Google e arrivare al suo account Youtube. Sul Tubo ci sono diversi video dove mostra le sue opere underground e la realizzazione delle stesse. Le location (come dicono i writres) sono sempre più o meno le stesse: il fungo a San Valentino, depositi industriali, la Nalco, Sciangai, la stazione.

Hawana non è una donna e neanche un ribelle solitario. Il nome "Hawana" nasconde in realtà un gruppo di più persone, in particolare almeno sette ragazzi di Cisterna.
Dimenticatevi però i loro nomi, ora si chiamano Remec, Jaste, Perso, Wame, Seok, Woke, Aero (alla stazione c'è anche la firma di un tale Marc, un ottavo membro che si aggiunto dopo? In fondo il video che ho visto e che presenta l'"Hawana Family" risale all'estate 2011).
Dimenticatevi anche i loro volti, nei video si fanno quasi sempre riprendere nascosti dietro kefie e cappucci. Inutile dover spiegare il perché.

Su Youtube hanno inserito una loro breve presentazione: “Siamo una piccola ma grande famiglia in cui ogni singolo è fondamentale.” Hawana non si occupa solo di writing ma “sfiora altre discipline quali la breaking e le varie danze urbane, la fotografia, le riprese e montaggi video, il beat-box, lo snowboard.” Seguono i ringraziamenti a tutti coloro che li aiutano e li supportano. E si dichiarano disponibili a realizzare eventi e mostre con chiunque condivida la loro passione.

Vista la loro disponibilità e il loro talento, visto che non è proprio impossibile risalire alla loro reale identità, non sarebbe bello, come suggeriscono in molti, valorizzare la loro bravura? Offrire alle loro bombolette spray il recupero di qualcuno dei tanti luoghi orribili di questa città? Lasciarli liberi di esprimere la loro arte alla luce del sole? E' un'utopia sperare che lassù, sulle poltrone del potere, sieda qualcuno così aperto mentalmente?

La Hawana Family

Gli Hawana all'opera


P.S.
Un amico mi ha fatto vedere oggi altri graffiti di Hawana alla stazione. Fra le scritte hanno lasciato un piccolo messaggio: "L'ignoranza copre la libertà d'espressione di ognuno di noi." Grandi!

martedì 20 marzo 2012

Hawana colpisce ancora

Dopo l’ondata di atti vandalici alla stazione di Cisterna (vedi "Stazione, vandali scatenati"” e “Hawana Fan Club”) gli artisti di strada ritornano nel sottopassaggio. Mentre le istituzioni continuano a dormire beatamente (se non si vogliono davvero i writers basterebbe mettere le telecamere come a Roma Termini e tutto questo non succederebbe), il mitico Hawana (o la mitica, secondo me è una donna!) ha realizzato nuove opere d’arte. Abbandonati per questa volta slogan e insulti politici, ha disegnato un lungo pianoforte, una serie di rondini che volano e una lunga frase (una poesia? Boh?).

L’arte di Hawana è illegale ma è sempre più bella. Migliora di graffito in graffito. Il suo pianoforte rispetta alla perfezione le leggi sulla prospettiva. Maneggia bene le bombolette spray, i suoi colori si intrecciano in un’armonia fantastica (molto meglio ad esempio di opere legali come la piazza viola). La frase invece è molto contorta, certe parole sembrano messe a caso peggio che una canzone di Sanremo, il senso è po’ difficile da afferrare.

La sua arte –almeno questo ho capito– nasce nel profondo della sua amina, non è falsa o ipocrita, non segue le regole ma è libera, è un ritorno alla spontaneità dell’infanzia, un atto d’amore. Altre frasi non avevano senso (spiegatemi che significa: “si volge al trapassato del verbo”). Credo comunque che il tutto fosse una risposta a chi lo critica o una spiegazione sul perché colori i muri della città.

Però caro Hawana, se posso darti un consiglio sincero (non so chi sei, non che faccia hai, non so neanche il perché però mi stai simpatico/simpatica), se la tua intenzione è di farti capire da i pochi che fra un treno e l’altro hanno la pazienza di fermarsi e leggerti, cerca di esprimerti usando le parole con la stessa semplicità dei tuoi disegni. "Chi usa linguaggi difficili" -diceva un grande uomo- "crede di essere colto, ma somiglia soltanto ad un pavone. Con le sue ali sa stupire, ma poi vola solo raramente."

domenica 11 marzo 2012

Hawana Fan Club

Quando scrivo o qui sul blog, o su “Incontro” o altrove; insomma quando riesco a pubblicare qualcosa di solito non mi si caga mai nessuno. L’articolo sui graffiti di Hawana alla stazione, al contrario, ha portato con se una scia di mail e messaggi tutti dello stesso tono: “Si è illegale però ammettilo così la stazione è molto più carina.” Mi sembrava giusto rispondere.


Per prima cosa io più che Hawana, attaccavo chi sfascia e distrugge. Quelli davvero sono ingiustificabili. L’arte di strada, invece, è bellissima. Come ogni forma d’arte è una forma di libertà. Penso che ogni murales rivendica il diritto ad essere colorati in un mondo grigio come un muro di cemento, il diritto a proteggere le nostre sfumature dall’omologazione della società moderna. Un graffito confonde e rende diverso per sempre un pezzo di mondo pensato e costruito in serie. È per questo che questo tipo di arte, ribelle per eccellenza, è nata e si è sviluppata nell’America degli anni Ottanta. 


L’arte di strada è bellezza pura quando recupera alla vita luoghi degradati e abbandonati. Quando (come i murales della foto a sinistra anche questi firmati da Hawana) trasforma un posto squallido come l’acquedotto abbandonato di San Valentino in una giostra colorata e allegra. Al tramonto, quando la luce rossa del sole fa esaltare quei colori alla massima potenza, stringono l’anima. Un amico li ha fotografati in quel momento particolare della giornata ed è arrivato terzo ad un concorso. Qualcosa che entra così nel profondo è arte pura ed è triste che qualcuno, in cerca di facili applausi, non se ne renda conto e se ne esca che andrebbero cancellati.


Ma l’arte di strada termina di essere bellezza pura quando diventa violenta, quando aggredisce le cose degli altri, quando non salva un posto dalla desolazione ma contribuisce al suo degrado. Le scritte nel sottopassaggio della stazione erano per due terzi insulti (sono già stati cancellati, ora resta un vaga macchia nera). I fiorellini e le stelline innocenti erano solo una piccola parte.  

giovedì 8 marzo 2012

Stazione, vandali scatenati


E’ primavera. Sbocciano fiori ovunque. Sui prati, sui giardini e persino sui muri della stazione ferroviaria. Da qualche tempo il marmo del sottopassaggio appare quasi del tutto ricoperto da fiori colorati. Peccato che quest’ultimi non siano opera di Madre Natura ma della follia notturna di qualche writer. Il tipo (o la tipa) che si è firmato con lo pseudonimo di Havana ha realizzato anche una grande scritta viola e verde, una serie di stelle nere e viola e una serie di slogan e simboli contro Stato e forze dell’ordine,   riconducibili all’area antagonista e anarchica. Scritte inedite sui muri della città finora appannaggio esclusivo  degli innamorati e dell’estrema destra.


Un disegno che sarebbe anche gradevole (Havana ha talento, non si può negare) se non avesse imbrattato illegalmente un bene pubblico che appartenendo allo Stato (lo stesso contro cui si scaglia Havana) appartiene a tutti i cittadini, lui compreso. E i soldi per pulire quel muro, quando verrà     pulito, verranno presi anche dalle tasse che paga anche lui, o probabilmente i suoi genitori. 
Tuttavia gli attacchi artistici di Havana hanno almeno il pregio di non danneggiare nulla, di non arrecare ulteriori problemi ai pendolari che già combattono il caos quotidiano dei treni. Purtroppo atti di vandalismo ben peggiori hanno colpito nell'ultimo mese la stazione. Le ultime vittime della stupidità umana sono i due distributori automatici, completamente distrutti. Qualcuno, con l’aiuto di bastoni o comunque oggetti contundenti provenienti forse da un vicino cantiere, ha mandato in frantumi le vetrine e ha tentato di sfondare la cassa dei soldi. I distributori sono stati svuotati e solo al momento inutilizzabili. Disastrose anche le condizioni dei bagni pubblici. I lavandini sono rotti, introvabile il sapone, il pavimento è sporco e molte porte non funzionano con buona pace della privacy. Piastrelle e specchi, infine, sono ricoperti fino all’inverosimile di scritte di qualunque tipo, soprattutto a sfondo sessuale.

In questi giorni di devastazione Trenitalia ha avviato il restyling dell’edificio (inaugurato nel 1924) con una serie di lavori, attesi da anni, che oltre al necessario restuaro della struttura prevederanno la pulizia e il ritinteggiamento dei muri esterni. Ma questi lavori, una volta conclusi, rischieranno di essere inutili se non si interverrà sulla sicurezza dell’area. La notte, in particolare, la zona è isolata e scarsamente illuminata. È facilissimo per i vandali entrare e agire indisturbati. La stazione oltre ad essere un servizio prezioso per tutti, é anche la porta d’accesso alla città, il nostro biglietto da visita. Che immagine diamo a chi arriva a Cisterna se lo accogliamo così, in mezzo al degrado? Non si potrebbe recintare la stazione? chiuderla negli orari quando non passano i treni? installare
telecamere di sorveglianza? Qualcosa che impedisca a questi pochi imbecilli in cerca di attenzione di fare sempre quello che vogliono?

mercoledì 7 marzo 2012

I fischi a Juan e l'ipocrisia del pallone

E' tornato il razzismo. Pensavamo che nel calcio certi problemi fossero sorpassati. Pensavamo che tifosi con complessi d’inferiorità perché ce l’hanno più piccolo e non hanno il ritmo nel sangue, non esistessero più. Era una pia illusione ovviamente. Il razzismo negli stadi non era scomparso, semplicemente non faceva più scandalo. Era dai tempi di “non esistono italiani negri” rivolto a Balotelli che non se ne parlava più, quando la curva juventina all’epoca fu punita con la chiusura degli stadi. Poi tutto scivolò nel silenzio. Non perché certi ultras avessero finalmente completato il cammino dell’evoluzione ma semplicemente perché il problema non era più un problema. Tutto diluito nell’indifferenza o nella rassegnazione. Ora si scopre che ogni domenica puntuale arriva la multa del giudice sportivo contro qualche squadra per episodi di razzismo. Pochi spiccioli, che raramente superano i cinquemila euro, tutti a carico della società. I responsabili di cori e fischi non vengono mai puniti malgrado l’istigazione all’odio razziale sia ancora un reato.  

Se si torna a parlare di razzismo negli stadi è perché l'ultima vittima dei “buu” indecenti, il difensore della Roma Juan domenica ha deciso di reagire. Stanco dei fischi che riceveva da ventimila laziali incappucciati ogni volta che sfiorava il pallone, si ricorda che ha la pelle nera come Martin Luther King, come  Malcolm X e Nelson Mandela, come Mohammed Alì e Pelè, come Bolt o Micheal Jordan come Edwin Moses, Miles, Ray Charles e John Coltrane, si ricorda insomma che la sua pelle ha dato tanto all’umanità e che non è affatto indice di stupidità o inferiorità. Alza la testa, tira fuori un’infinita dignità e con l’indice zittisce i razzisti.

È un gesto apparentemente inutile perché i fischi riprendono più forte che mai. Ma ricorda che nel 2012 certe cose sono inaccettabili. Qualche giocatore laziale abbraccia Juan e qualcuno prova anche a far tacere i suoi sostenitori. Lo speaker arriva a ricordare che per certi gesti può arrivare la sospensione del campo. Le acque lentamente si calmano e a partita finita, scoppia lo scandalo. Tutti prendono le distanze, tutti condannano, tutti esprimono solidarietà al giocatore, tutti promettono tolleranza zero e pugno di ferro.

Alla fine la Lazio viene condannata a pagare appena ventimila euro, neanche il decimo di uno stipendio di un calciatore. E al pallone, sciacquata la sua coscienza, va bene così. Perché “se sospendessimo le partite ad ogni coro non si giocherebbe più” (Luis Enrique, allenatore Roma) perché “non si può fare di tutta l’erba un fascio” (Abete, presidente Figc) perché “l’arbitro non può farci niente” (Nicchi, presidente sindacato arbitri) perché “è giusto fermare lo spettacolo a discapito di tutti?” (Tommasi, presidente associazione calciatori) perché cantava Guccini:  “Nostra Signora dell’Ipocrisiaperché una mano lavasse l’altra, sempre accusando, sempre cercando il responsabile, non certo io!


Quest'articolo è stato anche pubblicato con il titolo "Nostra Signora dell'Ipocrisia" sul giornale online Wild Italy