venerdì 23 dicembre 2011

Ma un giocatore lo vedi dal Coraggio. La storia di Simone Farina.

Se lo scandalo del calcio-scommesse fosse un film, lui sarebbe l’eroe buono e tormentato.  La storia di Simone Farina è di una quelle storie di straordinaria normalità cui aggrapparsi quando ci sembra che  il mondo rotoli in una dimensione senza valori e senza ideali. Fino a pochi giorni fa, Farina era uno sconosciuto difensore del Gubbio. 29 anni e due bambini, facilmente riconoscibile per la lunga chioma bionda, è romano e romanista. La sua carriera è di quelle che si definiscono dignitose ma non certo esaltante, tutta consumata fra le squadre di provincia che lottano fra la Serie B e la Prima Divisione, lontano dal mondo dorato degli stadi stracolmi, della pay-tv e dei commentatori-ultras. Lontano dai riflettori e di conseguenza lontano dalle polemiche. E in questo ambiente che è cresciuto lo scandalo delle partite combinate con i suoi protagonisti mediocri e burini: l’ex idolo intoccabile che fugge in mutande all’arrivo della polizia o che tenta di bissare le intercettazioni con un’improbabile voce in falsetto; il portiere che narcotizza il the dei suoi compagni di squadra; la vecchia gloria che gioca un chilo d’euro (un chilo di monete pesate con la bilancia!) o i secondi impiegati per ingoiare una merendina. Un sistema talmente radicato che quando Simone rifiuta la proposta di un certo Alessandro Zamparini, l’altro immagina che sia una questione di denaro. E per truccare Gubbio-Cesena, a Simone arrivano a proporre fino a 200.000 euro. Deve far perdere la sua squadra con largo margine e far vincere alle scommesse un oscuro boss indonesiano e i suoi compagni di merende. 200.000 euro sono tanti, sono il doppio di quanto Simone guadagna in un anno. È la telefonata, forse, più impegnativa della sua vita. Zamparini, all’altro capo del telefono, insiste e promette di tutto: soldi facili, premi e sotterfugi, un aiutino per la sua carriera, una mano per salvare il Gubbio se le cose si metteranno male a fine campionato. Ma Simone Farina diventa sempre più inamovibile e si rifiuta. Zamparini lo saluta con il gesto del silenzio: attacca cioè la cornetta senza salutarlo. Nel linguaggio mafioso è un segnale di avvertimento. Ma dopo aver rinunciato a tutti quei soldi, consapevole probabilmente di chi si stava mettendo contro (ma il Coraggio, insieme all’Altruismo e alla Fantasia, è una delle tre caratteristiche da cui si vede un giocatore secondo la celebre canzone di De Gregori) il difensore –in tutti i sensi della sua squadra– va oltre: prima confida la tentata combine al presidente della sua società e poi denuncia tutto quello che ha saputo ai magistrati. In un mondo come quello del calcio che si nutre si sogni e di episodi, il suo gesto ha commosso i tifosi di tutte le squadre e di tutte le categorie. Ha regalato a chi segue questo sport uno spiraglio di speranza e la certezza che, nonostante tutto, valga ancora la pena passare le domeniche pomeriggio (o il sabato, o il lunedì o il mercoledì, maledetto campionato spezzatino!) a esultare e ad inveire dietro al pallone, lontani per un po’ dalle preoccupazioni della vita. Simone l’Eroe che ha salvato il calcio ha ottenuto un premio speciale: la convocazione in Nazionale. Il ct Prandelli non poteva non inserirlo nel suo progetto di rilancio etico. Verrà per allenarsi con i giganti della Serie A e forse, se capita l’occasione buona, si farà anche qualche amichevole.  Ma la storia di questo calciatore onesto va oltre gli stadi: nell’Italia in ginocchio per colpa dell’ingordigia di pochi, ricorda che vale sempre la pena tenere la schiena dritta. Chi si vende guardagna sempre molti soldi. Ma non basteranno mai per riscattare il marchio di traditori che si porteranno dietro per tutta la vita. E potranno corrompere chi vogliono ma non il giudice implacabile e terribile che li aspetta ogni mattina davanti allo specchio: il giudice della loro coscienza.

domenica 18 dicembre 2011

Nel nome del cemento, l'ex Mulino sotto assedio

Guardate la foto qui affianco. Il volto di una misteriosa Santa spicca all'improvviso fra i pezzi d'intonaco che cadono, i fili della corrente, il degrado più assoluto. La donna ci guarda stupita e preoccupata. È ritornata alla luce, dopo essere rimasta per secoli sepolta sotto la calce e l’indifferenza. Piombata nel futuro all’improvviso come in un film, sembra chiedersi cosa ne è stato del suo mondo. E soprattutto perché sia stata dimenticata da tutti. Purtroppo per lei si trova in Italia e il suo Paese non vuole spendere soldi e tempo per l’arte (“con la cultura non si mangia” affermava sprezzante l’ex ministro dell’economia). E purtroppo per lei si trova a Cisterna, città in cui la sensibilità artistica della politica è ancora più bassa di quella che aveva Tremonti. La maggior parte dei suoi concittadini ne ignora persino l’esistenza, solo i pochissimi appassionati della storia locale sanno che l’ex Mulino Luiselli, il rudere abbandonato che domina la parte settentrionale del Corso della Repubblica, un tempo era il Convento francescano di Sant’Antonio Abate. La struttura dotata di una chiesa, un campanile e un curioso chiostro a tre lati venne fatta edificare nel 1568 dal Duca Bonifacio Caetani, poco fuori le mura dell'allora città, fra la campagna e le case. Per due secoli, il Convento ospitò fra i dieci e i quindici frati e i Caetani si impegnarono ad abbellirlo chiamando i fratelli Zuccari, Girolamo Siciolante da Sermoneta e il francese Duperac. Le cronache dell’epoca descrivono la chiesa con sei altari e ricca di affreschi e dipinti. E a quest’epoca cui va dotata probabilmente anche la Santa stupita e preoccupata. Il chiostro riportava la vita di San Francesco come si usava allora e sotto la chiesa si trovava anche una serie di grotte e cripte simili a quelle sotto Palazzo Caetani. Poi nel XVIII secolo i frati e i Caetani litigarono per ragioni economiche e se ne andarono. Il Convento attraversò varie vicissidutini, fu affidato ad altri ordini poi fu sconsacrato e usato come porcile, cantina, stalla per le bestie. Passato alla famiglia Luiselli, agli inizi del Novecento, fu ampliato e trasformato in un mulino industriale. Intanto il suo tesoro artistico veniva disperso. L'altare centrale fu portato a Tor Tre Ponti, le campane a Sermoneta, un trittico a Roma. Gli affreschi furono ricoperti con l’intonaco e dimenticati. Poi negli anni Settanta il Mulino fallì e fu abbandonato al suo destino. Diventò così il rudere che vediamo oggi, quello che grazie alla sua posizione rialzata, domina tutta la città. Nell’area che lo circonda, dove c'era il rigoglioso orto-giardino dei frati oggi si rifugiano le coppiette in cerca d’intimità. Ma oltre all’incuria e all’abbandono, sul Mulino e sui suoi tesori si è allungata l’ombra cupa della speculazione edilizia. Nel 1993 viene presentato un progetto che ne prevedeva l’abbattimento e la realizzazione di un centro commerciale. Il WWF locale si ribella e fa ottenere dal Ministero dei Beni Culturali il vincolo di tutela. L’ex Convento entra a far parte del patrimonio artistico nazionale e diventa così protetto dallo Stato. La speculazione non si arrende e le tenta tutte per aggirare il vincolo fortunatamente senza riuscirci. La svolta arriva nell’ultimo anno, viene presentata una convenzione pubblico-privato: il Comune entrerà in possesso dell’ex Mulino e in cambio consente l’edificazione dell’area intorno. In pratica la condanna a morte del Convento, stritolato dal cemento e dall’asfalto. Il progetto, così come è stato presentato, inoltre distruggerà una parte del bene vincolato, le grotte sottostanti, devasterà il paesaggio e l’ambiente circostante. “Un accordo folle” –denunciano i volontari del Comitato “Sant’Antonio Abate” che lottano contro tutto e contro tutti per restituire il monumento alla città– “tutto a vantaggio del privato che guadagnerà da questa operazione quattro milioni di euro a fronte dei due milioni a vantaggio della Pubblica Amministrazione.” Il Comitato ha rivolto un appello al sindaco Merolla perché non firmi la Convenzione, in caso contrario sono pronti a ricorrere alla giustizia. Nel frattempo lavorano per mobilitare l’opinione pubblica e far conoscere alla città il suo tesoro dimenticato. Uno spazio che anziché essere massacrato da altro inutile cemento puo’ essere rivalutato e messo a disposizione per realizzare musei, mostre, spazi aggregativi per i giovani, lavori per cooperative sociali e associazioni di volontariato. Ma nel frattempo, da vent’anni almeno tutto è bloccato e il Mulino lentamente muore. I suoi capolavori rischiano di scomparire per sempre, qualcuno già non c’è più. Come la Santa della fotografia che ammiravamo prima, misteriosamente distrutta a picconate qualche anno fa.


Quest'articolo è stato pubblicato nel numero di dicembre di "Collettivamente", mensile dell'associazione Eupolis.