giovedì 12 aprile 2012

Ore Memorabili

Bruno Montari - Il mago del calcio (1935)

Se vi chiedessi: ricordate che tempo faceva una domenica fa? Non vi chiedo di risalire con la memoria a tanti anni prima, fermatevi solo a domenica scorsa. Sono certo che dovrete pensarci, che dopo poco tentennerete una risposta, mai non sarete mai sicuri. Io invece ricordo benissimo che domenica scorsa c’era un grande sole. Lo ricordo perché è stato un giorno fantastico. Ricordo tanti dettagli di quel pomeriggio. Ricordo la cronista che urlava alla tv e le campane di una chiesa che, suonando a festa, chiamavano i fedeli all’ultima messa. Ricordo che sudavo ed esultavo, ricordo il cuore che batteva forte e la gioia correre lungo le grosse vene del collo. Ricordo giù nella strada i clacson impazziti, la gente che gridava, cantava e si abbracciava. Ricordo che faticavo ancora a credere che davvero alle cinque del pomeriggio di domenica 16 maggio 2010, la Roma, la mia Roma era diventata campione d’Italia.


Era stata una vittoria inaspettata. Partiti malissimo, avevamo compiuto una rimonta senza precedenti fino a toccare il primo posto. La sconfitta con la Sampdoria aveva però cancellato le nostre speranze. Nessuno credeva che la super Inter, che proprio ieri ha vinto la Champions League, proprio quell’Inter lì, potesse scivolare contro un Siena già retrocesso. Fu un clamoroso pareggio, i nerazzurri fallirono tutti i tiri in porta. Quanto bastò alla mia squadra di volare in testa alla classifica e di conquistare il quarto scudetto della sua storia. Il più bello perché inaspettato. Il mio vicino usci a torso nudo sul balcone e sventolava la gloriosa bandiera giallorossa dello scudetto dell ‘83, la televisione trasmetteva le immagini del Circo Massimo stracolmo di tifosi.


Fu in questa bolgia di emozioni che, spinto da una forza sovrannaturale, iniziai a scrivere. Io sono un giornalista sportivo e il mio sesto senso mi suggeriva che da quella vittoria avrei potuto ricavare qualcosa. E infatti scrissi il più bell’articolo della mia carriera. Posso dirlo senza falsa modestia, era un capolavoro. Raccontai quei momenti, quelle emozioni e lo chiamai “Ore memorabili”, un omaggio affettuoso a Dino Buzzati. Lo leggevo e rileggevo e più lo leggevo più mi piaceva.


Io sono un giudice molto severo con me stesso, mi correggo e ricorreggo allo sfinimento. Non mi do pace finchè ogni parola, ogni frase, ogni suono non s’incastri nella sua giusta posizione.


Ma quella domenica non riuscivo a trovare errori. In cerca di un giudizio davvero obiettivo, feci leggere il manoscritto alla mia compagna. Non aveva mai compreso la mia decisione di continuare a lavorare con la redazione sportiva, voleva che diventassi un cronista d’assalto, che mettessi alla berlina Berlusconi e i suoi scandali. Ma persino lei dovette ammettere che avevo scritto qualcosa di sublime. Una lacrima le scese dagli occhi. Corressi qualche piccolo errore di battitura che mi fece notare e lo inviai finalmente al giornale.


Ma il giorno dopo, quando sfogliai fiducioso la mia copia de “Il Colosseo” quotidiano per il quale lavoravo, quell’articolo non c’era.


Com’era possibile? Per una volta scrivevo un articolo perfetto, il mio giornale mi censurava? Pensai ad un errore di stampa e mi recai in redazione per chiedere spiegazioni.


“Ciao Carlo” –mi salutò affettuosamente il caporedattore vedendomi arrivare– “hai scritto un articolo fantastico, non leggevo niente di simile da anni. Hai spiegato cos’è il tifo vero, cosa significhi avere una passione, cosa significhi amare ancora questo sport ai tempi di Luciano Moggi. Persino io che odio il calcio mi sono sentito colpito nel profondo.”
E se era tanto perfetto perché non è stato pubblicato?
“Precisi ordini della direzione” –sussurrò– “Dice che dedichiamo troppo spazio al calcio e ha dato ordine di ridurre lo spazio per lo scudetto ad una pagina. Per il tuo articolo non c’era spazio.”
“Cosa? Troppo spazio al calcio? Ma se fino a ieri era stava su Sky a commentare le partite!”
Il caporedattore mi guardò scrollando le spalle.


Per lui era indifferente. Per me no! Non avrei tollerato quell’ingiustizia! Sapevo che certe cose si scrivono solo una volta nella vita. Dovevo pretendere la pubblicazione di quell’editoriale! Il direttore era di provata fede interista ma non immaginavo si sarebbe piegato fino a questo punto. La sua era una prepotenza senza precedenti ed io non ero disposto a tollerarla. O pubblicava il mio editoriale o me ne sarei andato! Io non ero un verme strisciante come lui, io questo mestiere lo facevo con una certa dignità! Forse non sarebbe stato facile trovare un nuovo posto, sicuro come questo, ma si era oltrepassato il limite!


E a passi felpati, deciso a dirgliene quattro, mi diressi verso la sua stanza. “C’è Buonuomo?” ruggii alla segretaria. La donna mi guardò ciancicando una gomma: “Si certo, è dentro.” Bussai ed entrai. Il direttore era in piedi. Un ometto insignificante, un irritante leccasederi. Pelato, basso, con gli occhiali da sfigato. Probabilmente sarà anche imponente e sua moglie si diverte con uno stallone romanista, ecco perché censura lo scudetto.


“Carissimo! La stavo aspettando!”
E di colpo tutte quelle cose che dovevo dirgli si sciolsero nella mia gola.
“Ah beh bene”
(Ora capisci amore, perché non ho mai voluto fare il cronista d’assalto come volevi tu, capisci che mi succede la stessa cosa quando intervisto un allenatore, figuriamoci ad occuparmi di scandali, di corruzione, di politici)
“Ma prego parli pure lei”
“Beh io…ecco…ieri avevo scritto delle cose ma oggi non so, forse non dovrei venire qui perché immagino di no…”
Sudavo. Cazzo, pensa allo stallone romanista!
Il direttore mi stoppò con un cenno della mano: “Certo, certo. Sa ho letto il suo ultimo articolo, molto bello. Peccato non averlo potuto pubblicare.”
Ma brutto figlio di…
“Sa lei ha un gran talento, un talento da paura. Mi domando perché lo sprechi a parlare di calcio”
Mi sembrava di sentire mia moglie. No la prego.
“Che dire? Grazie.”
“Io voglio che lei metta questo suo talento per una giusta causa. Avrà saputo della mia nuova politica sportiva?”
“Beh si ma…”
“Esatto, approfitteremo dell’estate finalmente per poter parlare d’altro. Basta con questo pallone, non se ne po’ più! Riabilitiamo altri sport più nobili, conosce il tiro a piattello? Ecco voglio che scriva un articolo altrettanto bello sul torneo distrettuale di tiro al piattello!”
“Su che?”
“Il campionato regionale di tiro al piattello. So certo che saprà descrivere con incredibile maestria il brivido di un colpo sparato in aria, la sfida dell’uomo al tempo, basta un attimo e ci si gioca una carriera!”
Certo, certo. Il tiro al piattello! Come se non avessi capito che questa è tutta una subdola vendetta perché avete perso lo scudetto. Ma quanto rosichi? Pubblica il mio articolo stronzo raccomandato, leccaculo e invidioso. Tu una roba così fantastica non la farai mai.
“Certo. Certo.”


E così mi mandarono a seguire l’incontro di tiro a piattello. Con rispetto parlando, lo sport più noioso dell’universo. Sbracato su una panchina di marmo mi godevo l’aria fresca mentre baldi giovanotti sparavano ad un piatto lanciato in aria. L’eroe del circolo era la medaglia olimpionica Nello d’Argento che stravinse a man bassa. Quattro-cinque tifosi batterono le mani mentre il megafono gracchiava l’inno nazionale.


E’ passata una settimana da allora. Dal giorno dello scudetto non riesco più a fare un articolo. Ogni volta che mi metto davanti al computer, ogni benedetta volta succede la stessa cosa. Nessun blocco dello scrittore, niente di così banale. Le mani scorrono sulla tastiera, Madonna se scorrono. Il guaio era che faccio sempre lo stesso indentico articolo: l’editoriale censurato. Le mie mani partono da sole, non riesco a fermarle e prima di rendermi conto cosa succede, sul pc compare di nuovo quel maledetto articolo.


Vado avanti così da troppi giorni. Temo che non riuscirò più a lavorare. Ho seguito tutti i tornei di tiro a piattello della regione senza ricavarne niente. Come farò adesso? Dove lo trovo un altro lavoro alla mia età? Io so di chi è la colpa di tutta questa situazione. E’ colpa di quello stronzo. Poco fa ha anche chiamato, lui in persona: per il ritardo. Ho accampato scuse poco credibili, ma ho dovuto promettergli che glielo avrei inviato in serata.


E adesso che faccio? L’ansia mi tortura!
A meno che…


Tre mesi dopo


Oggi, 29 agosto 2010 ricomincia il campionato di calcio. Sono allo Stadio Olimpico e quest’anno seguirò la Roma giornata dopo giornata. Sono completamente guarito e anzi sono stato promosso direttamente sul campo. Tutto merito di un editoriale sul torneo distrettuale di tiro al piattello. Avevo raccontato i festeggiamenti e le emozioni per la clamorosa vittoria di Nello d’Argento: i tifosi in festa che suonavano il clacson per le strade, il Circo Massimo stracolmo di gente e le campane di una chiesa suonavano a festa. Avevo raccontato anche del mio vicino che aveva tirato fuori per l’occasione la gloriosa bandiera che aveva già salutato la vittoria di Nello d’Argento nel 1983. La Federazione Italiana Tiro al Piattello si commosse per quell’editoriale e mi diede una targa. “Per aver dimostrato” –disse il presidente alla premiazione– “che anche le vittorie al Tiro al Piattello sono festeggiate come quando una squadra di calcio vince lo scudetto.”

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