venerdì 26 agosto 2011

Pietre coreane/2



Seconda parte
Ma il mio amore per questo luogo non è –a quanto pare– condiviso da molti così dovetti aprire l’agenzia contro le ingiustizie da un’altra parte: nella Casa Abbandonata, per la precisione. Era un piccolo edificio quadrato, schiacciato fra due grandi palazzi,  composto solamente da una stanza grande e dai resti di un piccolo bagno che usavo come ripostiglio. Non potevo permettermi un garage o un ufficio vero e fu Matteo che mi consigliò di usare la Casa Abbandonata. I suoi proprietari l’avevano lasciata da tempo e si diceva che lì dentro vivessero spiriti malvagi ma quando vi sono entrato trovai solo siringhe rotte e preservativi usati.

L’agenzia era il mio lavoro: chiunque subiva qualcosa di scorretto, poteva bussare alla mia porta e insieme avremmo trovato una soluzione. In fondo sono nato proprio per questo: il mio Inventore mi aveva dato la vita perché lo difendessi dai bulli che lo tormentavano a scuola. E’ stato lui a chiamarmi Urano. Era appassionato di astronomia e sapeva che Urano è l’unico pianeta del Sistema Solare a ruotare su sé stesso in senso antiorario (in realtà anche Venere ruota così però, santaluna, quale bullo avrebbe paura di un Mostro chiamato Venere?)
Erano anni che non vedevo il mio Inventore. Era cresciuto e non aveva più avuto bisogno di me. Mi aveva abbandonato come tutti i suoi giocattoli. Io lo aspettavo sempre, aspettavo che un giorno tornasse, passasse, mi salutasse. Gli anni passavano ma io non perdevo le speranze. Sapevo che studiava all’Università, andava bene ed era in regola con gli esami, dopotutto è sempre stato un secchione. Ma questa storia – insieme al Brutto Episodio che a tutto ciò in qualche modo era collegato– era una brutta ferita del mio passato che preferisco resti nei cassetti della memoria.

In quel periodo stavo lavorando al caso del piccolo Alex. Il giorno prima, avevo incontrato un’altra mia amica: Chiara. Chiara era bella e graziosa con i suoi capelli biondi sciolti e i suoi occhi verdi. Non la vedevo da un po’ e aveva voglia di raccontarmi come andavano le cose con il Giornalista, un ragazzo poco più grande di lei che lavoricchiava al quotidiano locale. Erano, a mio giudizio, la coppia più assurda dell’universo: si piacevano ma non riuscivano mai a fidanzarsi una volta per tutte. Era raggiante e radiosa e immaginai che finalmente quel rimbambito aveva trovato il coraggio di farsi avanti.
Parlavamo insomma di questo quando ci ritrovammo a passare in un’anonima piazzetta di periferia. I graffiti avevano dato colore e vita ai blocchi di cemento che separavano la piazza vera e propria dalla strada e un gruppo di ragazzi giocava a pallone.
Sentii all’improvviso un forte dolore alla tempia.
Mi sedetti sotto una fermata dell’autobus per non dare nell’occhio. Uno dei bambini notò comunque qualcosa perché corse a chiedermi se stavo bene.
“Si, si sto bene. Grazie rospetto.”
“Stavi per andare in trance vero?” mi domandò Chiara.
“Credo di si.”
Il dolore tornò a fischiarmi nel cervello.
“Beh non vuoi approfondire?”
“Oh non posso occuparmi di tutte le ingiustizie del mondo”
Il suo sguardo omicida mi fece cambiare idea.
“Va bene, va bene”
Chiusi gli occhi e iniziai a premere la testa con le dita all’altezza della tempia. Mi sfregai le mani e la piazzetta iniziò a ruotare.
Una forte nausea mi strinse lo stomaco.
Mi trovavo sempre lì, sotto quella stessa pensilina, sempre quella fermata. I bambini erano scomparsi. C’era solo un giovanotto cicciotello seduto accanto a me con una chitarra nella borsa a tracolla. 
Lo salutai anche se lui non poteva vedermi.
Sfrecciavano lungo la strada due-tre motorini, sopra erano ammassati tre o quattro ragazzi, nessuno aveva il casco ma non riesciva comunque a vederli bene.
Era un pomeriggio solitario. Il silenzio era pesante come il cielo denso di nuvole. I motorini ritornavano e sfrecciavano di continuo. Il ragazzo cicciotello aveva paura ma fingeva indifferenza. Guardava in basso e giocava con un sassolino.
Uno dei motorini si fermò proprio davanti a noi.
“Alex!” lo salutarono.
Il ragazzo restò con la testa bassa, fingendo di non aver sentito.
Si fermò un altro motorino.
“Ciao”
Alex restò fermo. Avrebbe voluto allontarnarsi ma qualcosa lo bloccava lì, sotto la fermata.
Da uno degli scooter scese un ragazzo in canottiera. Faceva freddo ma doveva mostrare i muscoli.
Alex arretrò.
Lo bloccarono.
Alex iniziò a tremare e a sudare.
Il tizio muscoloso iniziò a ridere, gli toccò il sedere, lo mollò, salì sul motorino e ripartì. Ripartono anche i suoi amici.
Alex riprese a respirare. Si posizionò di nuovo sotto la fermata, borbottando contro gli autobus che non passano mai.
Si sentì un rombo dalla strada. Ci voltammo, io e Alex.
I motorini stavano tornando, correvano velocissimi. Passarono davanti la fermata e iniziarono a lanciare pietre.
Sassi e sassi che volavano contro il povero Alex.
Alex osservava la scena a bocca aperta. Non aveva il tempo né la lucidità per riuscire a fuggire.
Un sasso lo colpì alla caviglia, Alex si accasciò a terra.
Un altro sasso centrò in pieno la bocca. Sentii un crack innaturale, il sangue colava lungo la gola. Scivolò a terra con le braccia aperte.
“Merda!” strillò qualcuno e i motorini fuggirono lontano.
Nessuno corse ad aiutare il povero Alex. Piangeva in silenzio, non osava gridare per non disturbare la gente perbene, quella che delle villette anonime intorno alla piazzetta.
Sentii il cuore gelarsi dentro di me.
Mi risvegliai.
Ero stanco.
I bambini mi guardano confusi: “Signore dobbiamo chiamare un’ambulanza?”
“No no sto bene, davvero sto bene” risposi.
Chiara mi guardò nervosa. Quando qualcuno commette un sopruso, una prepotenza resta qualcosa nel luogo in cui è capitato. Quando la mia strada incrocia uno di questi luoghi respiro questo qualcosa e mi sento male. E’ come il grido di un affamato che non mangia da giorni. È nella mia natura lottare le ingiustizie e normale che abbia una particolare sensibilità a tutto questo, percepisco anche la più piccola delle prepotenze specie se rimasta impunita. Ma anche buona parte di voi Umani non è immune a questo qualcosa. Pensate a quanta gente va nei campi di concentramento nazisti e improvvisamente sviene, si sente male, sente l’anima gelarsi. L’atmosfera di quei posti è talmente contaminata che persino voi Umani faticate a respirare, anche se ormai quell’orrore è lontano nel tempo. 

Continua...

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