mercoledì 24 agosto 2011

Pietre coreane


-Prima parte

Il treno delle sette e dieci, carico di pendolari diretti a Roma, fischiava sotto la collina, giù alla stazione. Il cielo color pesca del mattino addolciva l’aria e rendeva bella la pianura malgrado le fabbriche chiuse e i condomini grigi di cinque-sei piani.
C’era stato un tempo in  cui venivano da ogni parte d’Italia a cercare lavoro, ma poi con l’arrivo della globalizzazione, le industrie se n’erano andate una dopo l’altra; ormai non veniva più nessuno e anzi erano i giovani di questa terra che se ne andavano a cercare fortuna altrove.
La prima a chiudere era stata la Samco (“la scienza per la casalinga moderna” recitava una vecchia pubblicità). Contava cinquanta dipendenti e se andò, praticamente, all’improvviso. Si era ancora in piena età dell’oro e i lavoratori trovarono facilmente un nuovo impiego, ma la notizia sollevò comunque molto scalpore in città. I vertici della multinazionale non spiegarono mai il perché di quella decisione, non ricorsero nemmeno alle scuse classiche: la “riconversione” o la “crisi” o “è un momento difficile, le vendite sono in calo” e la gente incominciò a dare credito alle voci che da anni giravano intorno alla Samco: si diceva, infatti, che lì dentro, oltre a produrre detersivi e detergenti, si svolgessero strani esperimenti. Qualcosa però era andato storto e l’azienda non potendo più rimediare, aveva scelto di andarsene prima che la situazione precipitasse.
La storia all’epoca finì sui giornali e la magistratura aprì un’indagine che si concluse però con l’archiviazione del caso. Tuttavia questo non fu sufficiente a zittire le voci. Capita ancora che nei bar –quando la gente discute sull’inefficenza dello Stato– c’è sempre qualcuno che tira fuori la vicenda della Samco: “Chissà che han fatto lì dentro e nessuno li ha mai puniti! I giudici sono stati corrotti, agli operai che non sono morti pagano ogni mese un sacco di soldi in cambio del silenzio!” Ma erano solo chiacchiere, nessuna prova era mai saltata fuori.
Esperimenti o meno, a me la ex Samco è piaciuta da subito. Con i mattoncini rossi, l’edificio centrale sembra una vera casa. Mi sono trasferito qua subito dopo il Brutto Episodio (ma un giorno forse racconterò nei dettagli come andarono realmente le cose) quando nessuno mi voleva più.
Avevo sistemato le mie poche cose negli uffici al primo piano. Era rimasto qualche mobile, una scrivania, una poltrona che avevo adattato alle mie esigenze.
Nelle grandi stanze del sotterraneo invece avevo traslocato la biblioteca. Io adoravo leggere e là sotto c’era tutto lo spazio per i miei centocinquanta libri. Il sotterraneo era il regno di Dylan, una strana creatura nera che avevo trovato qua al mio arrivo. Aveva il corpo di un rottweiler, le gambe lunghe e storte, la faccia schiacciata, una coda pelosa e i denti di un leone. Si muoveva scompostamente, a zig zag, come un coniglio malato. Spesso latrava e abbaiava ma non aveva mai morso nessuno.
Immagino cosa state pensando: Dylan era l’esperimento andato a male della Samco; l’azienda aveva chiuso e quella creatura era rimasta qua a correre malamente in questi misteriosi sotterranei. Anche i miei amici la pensavano così. Io, invece, non avevo queste certezze. Per quel che mi riguarda, Dylan potrebbe essere nato naturalmente così e, come me, aver trovato in questa fabbrica dimenticata il suo rifugio.

Quando invece avevo bisogno di riflettere, mi piaceva passeggiare nel grande salone che, un tempo ospitava la catena di montaggio. Il cuore vero dell’industria. Le macchine non c’erano più, era rimasta la polvere e uno strano odore dolciastro e  spesso, si sentivano grida e strane urla. Ricordavano le voci delle donne in fuga nei film horror e mentre meditavo mi tenevano compagnia.
Sapevo che invece a voi Umani queste cose vi terrorizzavano. Tutta colpa della vostra paura di ciò che non conoscete. Se non sapete qual è l’origine, preferite fuggire anziché indagare e capire.
Il mio assistente, Matteo, era un Umano come voi. Lo invitai alla Samco quando decisi di metter su la mia agenzia contro le ingiustizie. Volevo fargli vedere le stanze della direzione, le ritenevo perfette. Ma appena mise piede dentro il salone, iniziarono a scatenarsi le urla e le grida.
Matteo sobbalzò impaurito.
“Se si tratta di uno dei tuoi soliti trucchi piantala subito!” sbottò.
Non conosceva ancora bene i miei poteri e le mie capacità. Io agisco sull’inconscio, provoco incubi, paure, sogni. Ma sul reale non posso nulla.
“Queste urla sono una caratteristica di questo posto” –gli spiegai con pazienza– “da quando vivo qui le ho sempre udite e non mi è mai accaduto nulla di male.”
Ma Matteo non riusciva a fidarsi. Barcollando, tentò di attraversare il salone, ma quando le grida si acuirono, si pietrificò.
“Io penso che questo posto non sia s-sicuro” balbettò. 
“Sta’ tranquillo. Non c’è nulla di cui avere paura.”
“IO NON HO PAURA! Non è questione di aver paura” –mormorò guardingo– “Ma ecco vedi…io…cioè i clienti…potrebbero essere…ecco…scoraggiati.”
Un nuovo urlo lo fece arretrare di qualche passo.
“Qui ci ci ci sono i fa-fantasmi!”
“Ma no!” –risposi tranquillo– I fantasmi vivono in castelli stregati, non nelle fabbriche abbandonate!”
Le Voci forse si accorsero della sua debolezza. Sono stronzette le Voci. Iniziarono ad acuire gli urli, a stirare gli strilli. Matteo, restò pallido e confuso al centro del salone. Poi svenne e si accasciò a terra.
Forse adesso –come Matteo– vi sarete convinti che le Voci sono ciò che resta del misterioso esperimento (lui aggiunge che nell’aria oltre alle Voci ci sarebbero strani gas, i reali responsabili del suo svenimento. Gas che però ha sentito solo lui!).
Magari potete anche ammettere che Dylan sia uno scherzo della natura ma le Voci no. Ma come può la chimica creare urla e strilla permanenti? Non mi risulta che la vostra ricerca sia arrivata a tanto. E non credete che un simile genio oggi sarebbe come minimo vincitore di un Premio Nobel, uno scienziato venerato e rispettato in tutto il mondo? Potrebbe anche aver taciuto sulle ricerche proibite della Samco ma una tale intelligenza non sarebbe rimasta all’oscuro così a lungo. Anche sulle Voci sono convinto che in fondo –come Dylan– potrebbero essere arrivate qua dopo la chiusura della fabbrica. Come me e Dylan, anche loro in fuga da chissà cosa, anche loro in cerca di una casa ospitale, e si sono rifugiate qua. Questa fabbrica non ha pregiudizi, è accogliente e ospita tutti. Lucertole, topi, erbacce, piccioni e rondini. Certe notti nel piazzale davanti si rifugiano gli innamorati e la Samco accoglie anche loro. Non l’ho mai vista sbattere la porta in faccia a qualcuno.
E per questo che, forse, l’adoravo così tanto.

Continua...

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