Le prime avvisaglie dell’avvenimento del secolo si intravedono mercoledì o giovedì, non ricordo bene.
“Fabiè ma perché ce stanno i cosi della Rai?”
“Boh ma che ne so, avrei pure una vita, l’Università, lo studio…”
Però la notizia è gustosa. Che ci fanno i potenti mezzi della televisione di Stato sotto casa mia, qui ai confini del mondo?
Ci vuole poco per scoprire che il Palazzetto dello Sport di San Valentino è stato scelto per ospitare la finale del campionato italiano Pesi Piuma Pugilato. Finiti a San Valentino perché –pare– uno dei due finalisti, il campione locale Mario Pisanti, ha fortemente voluto che si disputasse un incontro nel suo quartiere. Una scelta bellissima di radicamento e attenzione alla propria terra, uno schiaffo in faccia a tutti quelle persone piccole piccole che vengono, come me e lui, daaaaacento ma si vergognano delle proprie origini, quando sono ben altre le cose di cui vergognarsi.
Si capisce che una persona così è già il mio eroe e alle 22:30 come tutto il quartiere e credo tutta la città, si accende la televisione e si deve tifare per il vicino di casa campione. Parte l’inno nazionale e parte l’incontro dentro il Palazzetto. Il casino è tale che rimbomba e arriva fino a casa mia. Potrei spegnere la televisione e seguirlo ascoltando i rumori che il Parco fa rimbalzare, come una radio gigante.
Parte l’incontro e io dopo il primo cazzotto mi rendo conto che una cultura pugilistica fondata più o meno su “Million Dollar Baby” è insufficiente per seguire degnamente un macht di boxe. I telecronisti, pagati per spiegarcelo, sono più confusi di me. Vedo solo un incontro teso e violento, ai limiti -immagino- della regolarità (e Pisanti si scuserà anche con la città per il brutto spettacolo anche se la colpa non è stata sua).
Non capendoci niente, mi distraggo e inizio a studiare i dettagli, ad unirili come i puntini della Settimana Enigmistica: l’avversario scorretto, l’arbitro in difficoltà, il sindaco e il consiglio comunale in prima fila, il campione locale e la folla che salta, si esalta e insulta per sostenere l’eroe…
Sembra un racconto di Guareschi.
Lo è.
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