Qualche anno fa il FAI lanciò uno concorso per i ragazzi delle scuole medie: dovevano trovare un luogo abbandonato nella loro città e proporre un piano di recupero. Partecipò anche una seconda media di Cisterna e come luogo da salvare scelsero l’ex Mulino Luiselli, lo storico edificio che fu costruito nel XVI secolo e ospitò per due secoli un convento francescano. Il progetto dei nostri ragazzi prevedeva giardini alberati e strutture messe a disposizione della città. Si classificò terzo. Ma purtroppo alla guida della città non ci sono quei ragazzi. I vari tecnici e politici che si sono alternati negli ultimi vent’anni non hanno mai mostrato il loro buon senso. Prima hanno tentato di distruggere il convento, poi hanno proposto nel corso degli anni vari progetti di recupero, tutti irrispettosi della sua storia e delle preziose testimonianze che conserva. Una storia, a suo modo, simbolica dell’indifferenza che troppo spesso la classe dirigente italiana mostra nei confronti dei cittadini, dei loro interessi, delle loro passioni. E forse proprio per questo, complice il grande risveglio civile di questo periodo, la vicenda sembra interessare moltissimi cisternesi che il 13 gennaio hanno affollato la sala “Levi Civita” di Palazzo Caetani. Una sorta di sfida che la società civile lancia alla politica, quella con la p minuscola, che al bene comune preferisce inseguire piccoli e meschini interessi privati.
Il convegno è stato organizzato dal Comitato “Sant’Antonio Abate”, un comitato nato spotaneamente per salvare lo stabile. Nel corso della serata, il presidente del Comitato, Maurizio Cippitani ha elencato, con l’aiuto di vari articoli di giornali, diciannove anni di vergognosa indifferenza. Il primo risale al 18 maggio del 1993. Dopo l’abbattimento del settecentesco Consorzio Agrario, la giunta comunale autorizzò la disturzione dell’ex Mulino e la successiva costruzione di un centro commerciale. Il WWF, la cui sezione era guidata proprio da Cippitani, inizia una ricerca storica e scopre che la vecchia fabbrica abbandonata negli anni Settanta è in realtà una costruzione rinascimentale, e che al suo interno, sotto l’intonaco, ci ancora gli affreschi dei fratelli Zuccari e di Girolamo Siciolante da Sermoneta. Ma i politici di Cisterna ignorano la ricostruzione storica. Più sensibile si dimostrerà invece l’allora Ministro dei Beni Culturali, Alberto Ronchey, che prima sospende i lavori e a gennaio concede all’intero edificio il vincolo di tutela. L’ex Mulino entra nel patrimonio artistico nazionale, è salvo e non potrà più essere toccato.
Altrove, forse, la scoperta di possedere in casa propria, una preziosa testimonianza del passato avrebbe indotto le amministrazioni locali a investire i progetti di recupero e restauro. A Cisterna no. A Cisterna la Storia è un peso. Cisterna negli ultimi vent’anni ha perso un’antica chiesa romanica, abbattuta per un capannone. Ha perso i resti di un’abbazia medievale, distrutti per coltivarci carciofi. I reperti archeologici che il nostro territorio continua a restituire, come quelli di San Valentino e di Via Machiavelli giacciono abbandonati, in balia di chiunque. Anche sulla questione del Mulino si preferisce così proseguire sulla via del cemento perché diceva l’ex sindaco Salvatori: “chi l’ha detto che tutto ciò che è antico va salvaguardato?”.
Malgrado il vincolo, i progetti degli anni ’90 continuano a prevedere tutti modifiche, più o meno pesanti, all’edificio originario. Si arriva a negarne anche il valore storico ma per fortuna, la solitaria battaglia di Cippitani a colpi di ricorsi riesce a bloccarli. Nel 1999 alla guida del Comune sale Mauro Carturan. In campagna elettorale tuona contro “qualsiasi uso commerciale del convento” e lo fa scrivere a chiare lettere nel suo programma elettorale. Ma dopo l’elezione dimentica quelle promesse e i progetti della sua giunta continuano a prevedere la cementificazione della zona e lo snaturamento dell’edificio. Ancora una volta è Cippitani a sollevare obiezioni e a lavorare per fermare i lavori. Ci riuscirà ma dovrà difendersi da squallidi schizzi di fango: lo accusano di nascondere interessi economici nel mulino (“non hanno mai saputo spiegarmi” –ricorda Cippitani al convegno– “cosa avrei guadagnato dalla difesa di un edificio storico?”) e tentano di farlo dimettere dal WWF. Per frenare il fiume di calunnie deve intervenire persino il presidente nazionale dell’associazione ambientalista, Folco Pratesi.
Ai giorni nostri questa vicenda non ha ancora trovato una felice conclusione. Il sindaco Merolla si trova in questi giorni a dover decidere se sottoscrivere o meno una Convenzione pubblico-privato. Il nuovo progetto è ancora più subdolo: il Mulino viene lasciato integro e ceduto al Comune ma in cambio vengono autorizzati 40.000 mq di cementificazione in diversi luoghi della città. Uno scambio che –secondo le denunce del Comitato– fa guadagnare solo il privato. E, consentendo la costruzione di enormi palazzine nell’area intorno, il convento forse sopravviverà alle ruspe ma morirà soffocato dai mattoni e snaturato dal suo contesto. E ancora una volta è sempre Cippitani ad opporsi e lottare. Con l’aiuto, questa volta, del Comitato che ha costituito e di validi tecnici che guidati dall’architetto Alcidonio Di Pace hanno presentato un progetto alternativo che consentirebbe il recupero del convento e dei suoi affreschi (ancora incredibilmente intatti) e al tempo stesso trasformarlo in una casa a disposizione della città per iniziative di ogni genere. La posizione del comitato è stata sottoscritta con entusiasmo da centinaia di cittadini che hanno firmato una petizione popolare. Con Cippitani si sono schierate anche diverse associazioni locali e hanno promesso il loro sostegno alcuni consiglieri comunali. E se questa massiccia mobilitazione non dovesse essere sufficiente, gli speculatori farebbero bene a ricordare una celebre leggenda cisternese quella dei frati che, quando furono sfrattati dal Convento, vi lanciarono un’anatema: chi avesse sfruttato quel luogo sacro per fini economici sarebbe andato in bancarotta. Sette proprietari hanno avuto il convento dopo di loro. Tutti e sette sono falliti.