Prima parte
Rientrò a casa a notte fonda. Ringraziò il Cielo che fosse così tardi, perché se qualcuno l’avesse visto in quelle condizioni, avrebbe dedotto scandalizzato che avesse alzato il gomito. Invece era lucidissimo. Se stava così era tutta colpa del dolore. Un dolore atroce che gli bruciava le parti intime e gli faceva sentire le sue gambe rigide e bloccate e i piedi aperti e piatti, come un’anatra. Risaliva le scale aggrappandosi alla ringhiera, barcollava e cadeva giù. Chiudeva gli occhi, lacrimava, riprendeva fiato, soffiava e saliva, sperando di arrivare presto alla meta. Sapeva che tutto ciò non faceva bene al suo fisico, il suo buon senso gli consigliava di recarsi al più presto da un medico. Ma lui non l’avrebbe mai fatto. Si vergognava. Aveva immaginato più volte la scena dell’ipotetico colloquio. Lui col volto basso confessare l’origine di quella sofferenza e il dottore che lo guardava col sorrisetto che riservava ai pazienti imbecilli. E se il suo strano caso –per vie traverse– fosse giunto alle orecchie dei suoi conoscenti? Impallidì soltanto all’idea. Nessuno lo avrebbe capito e sarebbe diventato la barzelletta della città.
Il suo era davvero uno strano caso. Tutto quel dolore era dovuto al fatto che la sua donna lo amasse troppo. Poteva lamentarsene –anche solo nella stanza asettica di un ospedale– quando, ricordava bene i sospiri dei suoi amici innamorati perché le loro fidanzate erano sempre così limitate?
Qualcosa si ruppe sotto l’ombelico. Soffiò più forte per non gridare. Grosse spine pungevano sotto la sua pelle cercando di squarciarla.
Si accasciò sui gradini gelidi. Come invidiava le donne limitate dei suoi amici. Loro non tornavano così a casa.
Poi il disagio fece di nuovo capolino.
Perché non riusciva ad apprezzare la sua Giulia come avrebbe fatto –ne era certo– il novantanove per cento degli uomini?
Si rialzò e a fatica conquistò il portone. Il suo corpo tornò a bruciare e lui a soffiare. Strusciando arrivò fino al letto. Il male scivolò via ma non riuscì a chiudere occhio.
Iniziò così a pensare.
Aveva conosciuto Giulia quando era uno studente secchione che passava le sue giornate chiuso in biblioteca. Stava lavorando per la tesi –concludeva l’Università con un anno di anticipo– e l’aveva impostata su un argomento originale e impegnativo che aveva stupito i professori. Minuzioso com’era cercava ovunque il materiale che gli servisse e con quello studio matto compensava la sua solitudine, dato che, uno dopo l’altro, aveva perso tutti gli amici di un tempo.
Poi un giorno nacque in lui il desiderio di amare.
Arrivò all’improvviso. Prima non riteneva fondamentale per la sua esistenza avere una compagna. Dedicava la sua vita ad altro, alle sue passioni, alla musica, all’arte, ai viaggi, allo studio. Nel suo mondo non c’era bisogno di una donna. Ora gli sembrava impossibile vivere senza. Iniziò così la sua ricerca. Iniziò battendo tutte le strade possibili del rimorchio: le code in facoltà, i sorrisi fugaci per strada, le colleghe in biblioteca, le chat di Internet. Alla fine come nei classici, quando ormai disilluso, stava per gettare la spugna, arrivò Giulia. Si conobbero un sabato mattina, nel salotto di casa. Il suo futuro suocero stava male in quel periodo e, insieme a sua madre –lontana amica di quella famiglia– erano passati a trovarlo.
Ricordava bene quell’attimo in cui i loro sguardi si erano incrociati. Giulia aveva abbozzato un sorrisino, lui aveva ricambiato.
E mentre immaginava di scaldarla con un abbraccio e la guardava imbambolato, Giulia si era alzata, determinata e decisa e lo aveva avvinghiato: “Mi dispiace per tuo padre. Spero si riprenda presto”. Lui si sentì invadere da un calore mai sentito prima e le aveva accarezzato i capelli, sperando che quel momento non finisse mai.
E tutto era iniziato da lì. Con la scusa del padre malato, si sentivano spesso e senza neanche capire come si fidanzarono. Ricordava l’orgoglio con cui, mano nella mano, passeggiava con lei nei corridoi dell’Università. Tutti li guardavano (invidia? stupore?) e lui era felice.
Una settimana dopo erano usciti insieme. Era una sera felice e lui vedeva le stelle anche se il cielo era più oscuro del solito. Giulia lo aspettò sotto casa frenetica e felice. Si scambiarono un bacio timido. Erano impacciati, erano entrambi alle prime esperienze anche se avevano superato da un pezzo l’adolescenza.
Lui aveva voglia di andare oltre, ma non ne aveva il coraggio. Era presto, era ancora troppo presto. E poi aveva paura di spogliarsi, certo di emanare un pessimo odore, malgrado la sua mania per l’igiene: “D-dove vuoi che ti porto amore?" -le domandò timidamente- "Questa è la nostra prima sera insieme”
“Oh io conosco un posto. È proprio bello. Però…”
“Però?”
“Non vorrei sembrarti troppo…come dire…”
“Tu non mi sembrerai mai troppo.”
“Vorrei farti una sorpresa. Posso guidare io?”
“Certo amore.”
Si scambiarono i posti e lei partì. Inchiodò poco dopo. Ripartì quando lui –dopo una breve resistenza– acconsentì a farsi bendare. Lei riprese il volante e guidò sicura per qualche chilometro.
Lui non vedeva niente. Ogni tanto chiedeva se poteva abbassare la benda e Giulia ridendo gli diceva di no. Quando si fermarono lui richiese il permesso, ma lei non gli rispose nemmeno. Non voleva togliersi la benda per educazione e usò, allora, gli altri sensi per capire dove fossero: sentì intorno a sé un silenzio profondo, poi odorò il profumo dell’oscurità, poi il profumo di Giulia.
Scoprì di essere nudo.
Balbettò qualcosa e in pochi secondi disse addio alla sua verginità. “No! Non così” piagnucolò dentro la sua mente.
Si strappò la benda e vide –per la prima volta– la sua Giulia trasformata, i suoi occhi piccoli e bianchi, i capelli arruffati, la violenza animale e primordiale contratta in ogni suo muscolo. Non sembrava più un essere umano.
Giulia aveva ruggito: “Ancora! Ancora! Ancora!” ed era ripartita. Lui aveva tentato un goffo abbraccio ma poi aveva ceduto alla voracità della sua donna. “E’ posseduta dal Demonio” pensò terrorizzato, senza provare nessun tipo di piacere e sperando che tutto finisse in fretta.
Giulia era fragile, tenera, pratica e silenziosa. Non rompeva le scatole a nessuno e nessuno le rompeva a lei. Erano una coppia perfetta, la cui massima ambizione per il futuro erano una casetta col giardino e lo stipendio fisso a fine mese.
Ma quando arrivano quei momenti Giulia si trasformava. Nell’oscurità in cui si appartavano, lui sentiva la sua ansia crescere. La sua Fame. Lui si avvicinava timidamente, le sfiorava la pelle e in pochi secondi si ritrovava capovolto. Stordito, non capiva più niente. Intanto lei lo divorava, il suo volto da brava ragazza si trasformava, perdeva ogni lineamento, ogni segno di grazia. Lui stava lì sottomesso e fermo e aspettava la fine.
Giulia non era mai soddisfatta e se lo era aveva ancora più Fame. Dopo pochi minuti –il tempo di respirare, riprendere fiato e dolcezza– tornava a divorarlo senza che lui riuscisse neanche a capire. E ancora, ancora, ancora, fino a quando lei non era esausta, si appoggiava al finestrino e dormiva. Lui allora riprendeva i sensi, la conoscenza di sé, accendeva la macchina e riportava la bestia a casa. Sentiva il male attraversargli il corpo e aveva voglia di gridare ma non gridava perché lui non gridava mai. Soffiava però, perché per non esplodere, il dolore doveva in qualche modo uscire dal suo corpo.
Continua...
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