venerdì 27 gennaio 2012

Esposto al Ministero per salvare il Mulino

foto di Danilo Chiariglione

Ombre cupe sul Mulino. Malgrado la massiccia mobilitazione di cittadini comuni, associazioni, pagine e gruppi di Facebook l’amministrazione comunale intende andare avanti con il nuovo progetto. Difficile credere infatti che il sindaco Merolla non ratificherà la convenzione pubblico-privato (vedi "Nel nome del cemento l'ex Mulino sotto assedio") dopo che la sua giunta l’ha già approvata all’unanimità il 29 dicembre. Una delibera votata scandalosamente in gran segreto e tenuta nascosta per almeno tre settimane.

Al gioco sporco dei politici, il Comitato “Sant’Antonio Abate” di Maurizio Cippitani ha deciso di reagire con un esposto alla Sovrintendenza ai Beni Culturali. Lo scopo è bloccare la convenzione in via cautelativa. Tanti i punti contestati da Cippitani e dai suoi tecnici: il progetto degli architetti Bellardini e Giammatteo (gli stessi degli “esuberanti” palazzi vicino la chiesa di San Francesco) violerebbe la legge sui Piani Integrati e non rispetterebbe la distanza minima prevista fra edifici di nuova costruzione.

Ma c’è un particolare ancor peggiore. Malgrado le rassicuranti dichiarazioni di sindaco e assessori, se le ruspe entreranno in azione anche una parte del vecchio convento rinascimentale (che al suo interno conserva ancora i preziosi affreschi del XVI secolo) verrà demolita. Dopo vent’anni di battaglie (Ex Mulino Luiselli, vent'anni di vergogna) il Mulino rischia ancora la mutilazione. Dopo vent’anni, come in un perverso gioco dell’oca, siamo tornati di nuovo al punto di partenza.

Ora la speranza è che il Ministero faccia rispettare il vincolo di tutela imposto all’edificio nel 1994, bloccando il progetto. Per giungere quindi ad una soluzione definitiva che, come scrive lo stesso Cippitani su Facebook: “tenga conto dei proprietari (continuamente penalizzati da promesse scorrette e irrealizzabili) del pubblico e soprattutto del bene dell'edificio e del suo intorno, una fetta di storia e di identità cittadina.” 


giovedì 26 gennaio 2012

Cosa succede in città?

"Cosa succede in città? C'è qualcosa, qualcosa che non va" cantava Vasco Rossi quando era ancora un cantante. Cosa succede a Cisterna? C'è sicuramente qualcosa che non va se in una giornata si registrino certi spiacevoli episodi come quelli di ieri.


Il primo lo rende noto attraverso Facebook la giornalista Daniela del Giovine. Un suo articolo sulle proteste dei cittadini su alcuni alberi tagliati lungo Corso della Repubblica ha suscitato le ire di qualcuno ed lei è stata duramente minacciata al telefono: "Vedrai, ti faccio cambiare i connotati". Ribadisco anche qui (dopo averlo già fatto di persona) la mia solidarietà. La libertà di stampa è un diritto intoccabile di ogni cittadino. Un diritto riconosciuto dall'articolo 21 della Costituzione ("tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero").


Ma la Costituzione vale quanto la carta straccia in questa città. Ieri, alcuni cittadini, hanno scoperto una delibera votata dalla giunta comunale il 29 dicembre 2011. Una delibera che calpesta, anche se legalmente, l'articolo 9: "la Repubblica tutela il patrimonio storico e artistico della Nazione". Gli assessori presenti, fra un cotechino e uno zampone, hanno invece approvato all'unanimità una pre-autorizzazione alla famosa convenzione pubblico-privato sul Convento di Sant'Antonio (vedi Ex Mulino Luiselli, vent'anni di vergogna). Mancano ancora moltissimi documenti tecnici e per il passaggio definitivo è necessario il voto del consiglio comunale. Ma intanto l'amministrazione ha deciso di sostenere con decisione la strada del cemento. Tutto nel segreto delle stanze del potere, mentre fuori una città discute e si anima per salvare il monumento. Inutilmente a quanto parte, perché tanto "loro" hanno già deciso che fare. 



mercoledì 25 gennaio 2012

sabato 21 gennaio 2012

Ex Mulino Luiselli, vent'anni di vergogna

Qualche anno fa il FAI lanciò uno concorso per i ragazzi delle scuole medie: dovevano trovare un luogo abbandonato nella loro città e proporre un piano di recupero. Partecipò anche una seconda media di Cisterna e come luogo da salvare scelsero l’ex Mulino Luiselli, lo storico edificio che fu costruito nel XVI secolo e ospitò per due secoli un convento francescano. Il progetto dei nostri ragazzi prevedeva giardini alberati e  strutture messe a disposizione della città. Si classificò terzo. Ma purtroppo alla guida della città non ci sono quei ragazzi. I vari tecnici e politici che si sono alternati negli ultimi vent’anni non hanno mai mostrato il loro buon senso. Prima hanno tentato di distruggere il convento, poi hanno proposto nel corso degli anni vari progetti di recupero, tutti irrispettosi della sua storia e delle preziose testimonianze che conserva. Una storia, a suo modo, simbolica dell’indifferenza che troppo spesso la classe dirigente italiana mostra nei confronti dei cittadini, dei loro interessi, delle loro passioni. E forse proprio per questo, complice il grande risveglio civile di questo periodo, la vicenda sembra interessare moltissimi cisternesi che il 13 gennaio hanno affollato la sala “Levi Civita” di Palazzo Caetani. Una sorta di sfida che la società civile lancia alla politica, quella con la p minuscola, che al bene comune preferisce inseguire piccoli e meschini interessi privati.

Il convegno è stato organizzato dal Comitato “Sant’Antonio Abate”, un comitato nato spotaneamente per salvare lo stabile. Nel corso della serata, il presidente del Comitato, Maurizio Cippitani ha elencato, con l’aiuto di vari articoli di giornali, diciannove anni di vergognosa indifferenza. Il primo risale al 18 maggio del 1993. Dopo l’abbattimento del settecentesco Consorzio Agrario, la giunta comunale autorizzò la disturzione dell’ex Mulino e la successiva costruzione di un centro commerciale. Il WWF, la cui sezione era guidata proprio da Cippitani, inizia una ricerca storica e scopre che la vecchia fabbrica abbandonata negli anni Settanta è in realtà una costruzione rinascimentale, e che al suo interno, sotto l’intonaco, ci ancora gli affreschi dei fratelli Zuccari e di Girolamo Siciolante da Sermoneta. Ma i politici di Cisterna ignorano la ricostruzione storica. Più sensibile si dimostrerà invece l’allora Ministro dei Beni Culturali, Alberto Ronchey, che prima sospende i lavori e a gennaio concede all’intero edificio il vincolo di tutela. L’ex Mulino entra nel patrimonio artistico nazionale, è salvo e non potrà più essere toccato.

Altrove, forse, la scoperta di possedere in casa propria, una preziosa testimonianza del passato avrebbe indotto le amministrazioni locali a investire i progetti di recupero e restauro. A Cisterna no. A Cisterna la Storia è un peso. Cisterna negli ultimi vent’anni ha perso un’antica chiesa romanica, abbattuta per un capannone. Ha perso i resti di un’abbazia medievale, distrutti per coltivarci carciofi. I reperti archeologici che il nostro territorio continua a restituire, come quelli di San Valentino e di Via Machiavelli giacciono abbandonati, in balia di chiunque. Anche sulla questione del Mulino si preferisce così proseguire sulla via del cemento perché diceva l’ex sindaco Salvatori: “chi l’ha detto che tutto ciò che è antico va salvaguardato?”.

Malgrado il vincolo, i progetti degli anni ’90 continuano a prevedere tutti modifiche, più o meno pesanti, all’edificio originario. Si arriva a negarne anche il valore storico ma per fortuna, la solitaria battaglia di Cippitani a colpi di ricorsi riesce a bloccarli. Nel 1999 alla guida del Comune sale Mauro Carturan. In campagna elettorale tuona contro “qualsiasi uso commerciale del convento” e lo fa scrivere a chiare lettere nel suo programma elettorale. Ma dopo l’elezione dimentica quelle promesse e i progetti della sua giunta continuano a prevedere la cementificazione della zona e lo snaturamento dell’edificio. Ancora una volta è Cippitani a sollevare obiezioni e a lavorare per fermare i lavori. Ci riuscirà ma dovrà difendersi da squallidi schizzi di fango: lo accusano di nascondere interessi economici nel mulino (“non hanno mai saputo spiegarmi” –ricorda Cippitani al convegno– “cosa avrei guadagnato dalla difesa di un edificio storico?”) e tentano di farlo dimettere dal WWF. Per frenare il fiume di calunnie deve intervenire persino il presidente nazionale dell’associazione ambientalista, Folco Pratesi.

Ai giorni nostri questa vicenda non ha ancora trovato una felice conclusione. Il sindaco Merolla si trova in questi giorni a dover decidere se sottoscrivere o meno una Convenzione pubblico-privato. Il nuovo progetto è ancora più subdolo: il Mulino viene lasciato integro e ceduto al Comune ma in cambio vengono autorizzati 40.000 mq di cementificazione in diversi luoghi della città. Uno scambio che –secondo le denunce del Comitato– fa guadagnare solo il privato. E, consentendo la costruzione di enormi palazzine nell’area intorno, il convento forse sopravviverà alle ruspe ma morirà soffocato dai mattoni e snaturato dal suo contesto. E ancora una volta è sempre Cippitani ad opporsi e lottare. Con l’aiuto, questa volta, del Comitato che ha costituito e di validi tecnici che guidati dall’architetto Alcidonio Di Pace hanno presentato un progetto alternativo che consentirebbe il recupero del convento e dei suoi affreschi (ancora incredibilmente intatti) e al tempo stesso trasformarlo in una casa a disposizione della città per iniziative di ogni genere. La posizione del comitato è stata sottoscritta con entusiasmo da centinaia di cittadini che hanno firmato una petizione popolare. Con Cippitani si sono schierate anche diverse associazioni locali e hanno promesso il loro sostegno alcuni consiglieri comunali. E se questa massiccia mobilitazione non dovesse essere sufficiente, gli speculatori farebbero bene a ricordare una celebre leggenda cisternese quella dei frati che, quando furono sfrattati dal Convento, vi lanciarono un’anatema: chi avesse sfruttato quel luogo sacro per fini economici sarebbe andato in bancarotta. Sette proprietari hanno avuto il convento dopo di loro. Tutti e sette sono falliti.   

venerdì 6 gennaio 2012

Una su centoventimila

Se la civiltà di un Paese si misurasse dalle condizioni delle sue carceri, l’Italia faticherebbe a definirsi un Paese civile. Il sistema, come raccontano le cronache, è al collasso: troppi detenuti (un'eccedenza di 20.000 unità secondo i dati del Ministero della Giustizia) per le celle disponibili, degrado totale, condizioni umane al limite. L’anno 2011 ha visto un aumento vertiginoso dei suicidi o dei tentativi di suicidi. I carcerati sono costretti a trascorrere la loro giornata in stanze vecchie, umide e sovraffollate. Stanze di pochi metri quadrati da condividere con altri otto-nove-dieci esseri umani per quasi tutte le 24 ore della giornata. Fuori dalle gabbie, le attività previste sono infatti poche o nulle malgrado il diritto alla rieducazione sia garantito dalla Costituzione. E chi non ha alle sue spalle una famiglia, un amico, qualcuno che si prenda cura di lui è solo, completamente solo e abbandonato a sé stesso. Non serve una profonda empatia per intuire la disperazione di queste persone e comprendere il numero sproporzionato di suicidi. Una situazione drammatica che penalizza soprattutto gli stranieri: i più soli di tutti perché magari quel qualcuno che badi a lui l’avrebbero pure ma vive a migliaia di chilometri di distanza. La solitudine in carcere non svuota solo l’anima ma rende complesso poter rispondere anche a molti bisogni corporali: nessuno, per esempio, ti porterà la bancheria intima se quella che indossi si rompe, si logora o si è dispersa in qualche trasferimento, nessuno ti porterà dei vestiti nuovi, decenti e comodi per la dura vita della prigione, nessuno ti porterà prodotti per la pulizia e l’igiene. La casa circondariale di Latina purtroppo non fa eccezione. Ma se altrove alle carenze del sistema arriva il soccorso del volontariato, Latina registra un record molto triste: in tutto il carcere c’è un’unica volontaria. Una sola, la stessa da vent'anni a questa parte. Una piccola signora che vive a Borgo Podgora. Il resto dei suoi 120.000 concittadini (o 500.000 se vogliamo estendere la statistica della vergogna a tutti gli abitanti della provincia) preferiscono affondare felici nella loro indifferenza, rifugiarsi nell’ipocrisia delle loro convinzioni: “non meritano niente” –è il luogo comune più diffuso– “sono solo dei criminali”, “hanno fatto del male ed è giusto così” e ancora “Alle vittime dei loro reati? A loro chi ci pensa?” Affermazioni miope e limitate, come sempre, quando si ragiona partendo dai pregiudizi. Perché se è giusto punire chi infrange la legge, è altrettanto giusto rispettare la loro dignità. E dicono le statistiche, più un sistema carcerario è a misura d’uomo, minore sarà la probabilità che una volta liberati, gli ex detenuti tornino a delinquere. E infine non tutti sono criminali. Almeno il 50% dei carcerati, dopo i tre gradi di giudizio, viene riconosciuto innocente dalla giustizia. Anche chi subisce ingiustamente la galera merita di vivere così, in quelle terribili condizioni?