mercoledì 31 agosto 2011

Pietre coreane/6

Sesta parte

Per leggere la terza parte: http://strane-storie.blogspot.com/2011/08/pietre-coreane3.html
Per leggere la quinta parte: http://strane-storie.blogspot.com/2011/08/pietre-coreane5.html

La mattina dopo presi l’autobus e mi recai in una città vicina. Dovevo ascoltare una persona che mi avrebbe fornito ulteriori dettagli sulla personalità del Corea.

Fra le tante cose che avevo letto dai vecchi giornali mi aveva colpito quel legame fra il sindaco e la Samco, la mia adorata Samco.
La sua carriera politica sarebbe dovuta al silenzio dell’ex semplice custode durante le indagini sui misteriosi esperimenti.
Mi sembrava l’ennesima bufala. Nessuno degli altri dipendenti dell’azienda ha mai ammesso qualcosa eppure solo lui, il Corea, è diventato più ricco e potente di prima. Però era anche vero che era difficile giustificare una così rapida ascesa nel mondo della politica. Perché mai il partito più votato d’Italia avrebbe portato un ex custode, un tizio qualunque in Parlamento? Per quei posti sgomitano in migliaia, eppure quel partito aveva deciso –così all’improvviso– di darlo al primo sconosciuto beccato per strada. Qualcosa decisamente non tornava.
Forse un giorno avrei dovuto indagare meglio sui segreti della mia casa.
Fuori dai finestrini brillava la vita quotidiana. Passammo davanti al centro commerciale, che in quell'ora del mattino, pullavava di pensionati in cerca di compagnia e casalinghe in cerca di occasioni.
Sul ponte che solca la ferrovia, ai confini fra campagna e città, erano già al lavoro le prostitute africane. Sedevano sciatte su squallide sedie di plastica e aspettavano i clienti masticando chewing gum.
Passato il ponte ecco il nuovo quartiere, case e case e case che stavano sorgendo di corsa l’una accanto all’altra anche se in città tutto questo bisogno di abitazioni non c’era. La faccia del Corea mi guardava da un vecchio manifesto scolorito. Mi domandai come sarebbe finita l’assurda sceneggiata che si era inventato con la polizia per “salvare” Jack Bicipite.
La città si perdeva e iniziava la campagna. I trattori aravano la terra fertile e gli indiani si muovevano in bici ai margini della carreggiata. Vanno da un campo all’altro, solo loro osavano ancora sudare per l’agricoltura.
Giurai a me stesso che avrei duramente punito il Corea. Avrebbe scontato tutto quel maledetto avido assetato di potere.

La signora –Maria si chiamava– con cui avevo appuntamento mi accolse sorridente nel suo piccolo appartamento. Indossava una vestaglia e mi offrì tè e biscotti fatti in casa.
Era minuta, il volto dolce, i capelli corti. All’apparenza era difficile collegarla alla storia che mi avevano accennato.
La signora Maria mi guardò rassegnata: “Sa ci credo poco che lei possa fare davvero qualcosa.”
 C’è la farò, tranquilla, c’è la farò.
Iniziò finalmente a raccontare.

“Dunque, io fino a due anni fa ero un’impiegata delle Poste. Lavoravo in quell’ufficio da vent’anni, era come una seconda casa per me. Ma immagino che a lei non interessino questi romanticismi”
La guardai, facendole cenno di procedere.
Maria respirò bene e poi fissandomi negli occhi proseguì: “Era d’estate. Credo fosse la fine di giugno. Certi dettagli non li ricordo bene, comunque, quella mattina si presentò in ufficio la moglie del Corea.
Come tutti prese il numeretto e iniziò a fare la fila. Poi accadde qualcosa. Forse il caldo (l’aria condizionata non funzionava), forse la noia (dicevo io di mettere le riviste nel salotto d’attesa come fanno dal dottore) insomma la signora ad un tratto si alzò, si avvicinò al bancone e iniziò a brontolare. Disse –ricordo bene le sue farneticazioni– che facendole fare la coda come le persone normali stavamo mancando di rispetto alle Istituzioni dello Stato. Lei come moglie del sindaco, aveva diritto ad essere servita subito e, anzi, era stata fin troppo paziente con noi.
Le risposi garbatamente di tornare al suo posto. Lei in quel momento non rappresentava proprio nessuna istituzione dello Stato e non aveva diritto a quella prepotenza nei confronti delle persone comuni. Gli altri clienti già avevano iniziato, giustamente, a protestare.
Ma quella non era abituata ad essere contraddetta. Mi si avvicinò all’orecchio e mi minacciò: ‘’Stai attenta’’
Sempre con gentilezza la rispedii al suo posto.
La donna si sedette sbuffando. Poi come una bambina viziata iniziò ad alzarsi e a sedersi svariate volte. Infine se ne andò. Immaginai che avesse deciso di passare quando c’era meno gente oppure avesse scelto di servirsi da un'altra parte.
Tornò poco dopo in compagnia del marito, il Corea in persona, e quattro-cinque leccaculi che lo seguivano in branco.
I leccaculi scansarono il cliente che stavano servendo, si piazzarono di fronte a me: “Signora, il sindaco e sua moglie avrebbero una certa urgenza da sbrigare. Sa non possono perdere troppo tempo qui, hanno un appuntamento per il bene della città.”
Sentivo il cuore battermi furioso, non ho mai avuto un animo docile e incline a sopportare le prepotenze, senza neanche pensarci troppo, d’impeto mi alzai in piedi e puntai il dito contro tutti loro: “Fate la fila come tutti!”
Mi accorsi di tremare. Mi sedetti e indifferente alle facce sbalordite di quelli, ripresi a servire il cliente di prima.
Con la coda dell’occhio cercai di captare la reazione della gente. Li vidi lamentarsi sottovoce. I miei colleghi facevano finta di niente ma sentivo i loro sguardi di condanna su di me. Il cliente che stavo servendo, tornò timidamente al bancone. Guardò me, guardò il Corea, quindi guardò di nuovo me, poi iniziò a starnazzare scandalizzato: “Signora non le sembra di aver esagerato?”
“Cosa sta dicendo scusi?”
Quello iniziò a saltellare, sperando di farsi notare dal Corea e dalla sua combriccola: “Ma insomma, lei sa chi è la persona che ha appena maltrattato? È il sindaco di questa città. Insomma, mi scusi, ma credo che dovrebbe chiarire l’equivoco e chiedergli scusa.”
Lo guardai inorridita: “Il sindaco in questo momento è un cittadino come tutti gli altri. Io sto solo facendo rispettare il regolamento. La prego, facciamo in fretta”
“Io capisco e rispetto che lei abbia idee diverse dal sindaco” –replicò il cliente incoraggiato dai sorrisetti della combriccola– “ma fino a questo punto è arrivato il vostro odio politico? Eppure dovreste accettare il risultato delle elezioni. Insomma se la gente ha scelto lui come sindaco cosa vuol dire che la gente è tutta scema?” 
“Non centra niente la politica” –ribattei con fermezza– “è questione di regole.”
Il cliente scosse la testa poco convinto. E con un gesto plateale fece passare il sindaco davanti a sé.
La moglie e i leccaculi si piombarono sul bancone. Il Corea li fermò. Con aria da vittima proclamò: “E’ evidente che in questo ufficio le Istituzioni non sono gradite! Torneremo un’altra volta”. Quindi si allontanò. Il cliente, continuando a scodinzolare, gli lasciò il suo biglietto da visita. Il Corea lo accolse sorridendo e gli promise eterna gratitudine; svoltato l’angolo buttò il biglietto e si dimenticò in fretta il nome di quel cretino.
Non dimenticò mai il mio invece.
Ho saputo poi che al ritorno a casa era furioso. Sfondò un nano da giardino urlando bestemmie contro di me. È intollerabile per i potenti mediocri come lui non ricevere una sottomissione immediata. Era comprensibile che rifiutassi di piegarmi a quella scema di sua moglie o ai suoi tirapiedi ma a Lui, il Corea in persona, come osavo dire no al Corea?
Qualche mese dopo la direzione postale mi comunicò che ero stata trasferita. Una decisione piovuta all'improvviso, della quale non ho mai avuto spiegazioni. Ma è fin troppo evidente chi mi ha spedito fuori dalla città di sua proprietà.”
Abbracciai quella piccola donna coraggiosa e piena di dignità. Tornando a casa giurai che il Corea avrebbe pagato anche per quello. Avrebbe invocato pietà anche per quello stupido e ingiusto abuso di potere.

Continua... 

martedì 30 agosto 2011

Pietre coreane/5


Quinta parte

Per leggere la terza parte: http://strane-storie.blogspot.com/2011/08/pietre-coreane3.html
Per leggere la quarta parte http://strane-storie.blogspot.com/2011/08/pietre-coreane4.html

Adolescenti. Un mondo difficile, oscuro, complesso. Un’età di transizione, in cui si fatica a capire se stessi e quale direzione prendere. E quale fatica anche per noi adulti, per comprendere il perché di certi gesti, certe risposte, certi silenzi. Non siamo psicologi ma come giustificare l’incredibile goliardata di un diciasettenne della nostra città, G.B., che si è presentato al commissariato di polizia autodenunciandosi di reati in realtà mai compiuti? Una sfida a istituzioni spesso lontane? Un disperato bisogno di attenzione? G.B., noto fra i coetanei con il simpatico soprannome di “Jack Bicipite”, è quello che si definisce un “ragazzo difficile”. Nato in una famiglia benestante, ha un’altalenante rapporto con lo studio. Perquisendolo gli agenti gli hanno trovato addosso piccole dosi di marijuana che il ragazzo consuma abitualmente, unica colpa di cui però Jack Bicipite non ha ritenuto di doversi denunciare. Ha invece confessato reati ben più gravi: bullismo, vandalismo, violenza gratuita nei confronti dei più deboli e indifesi. La sua fantasia si è spinta al punto tale di confessare un’aggressione a sassate nei confronti di un bambino di tredici anni. Aggressione di cui non risulta alcuna denuncia ne alcun ricovero al pronto soccorso locale. Proprio questo fatto ha insospettito gli agenti. Quando gli hanno chiesto il nome di questa vittima, Jack Bicipite non ha saputo farlo, sostenendo di non conoscerlo. Inchiodato di fronte alle sue responsabilità, il ragazzo è crollato. La Procura della Repubblica…”

Sbigottito mi rifiutai di continuare a leggere.
La storia aveva avuto un epilogo assurdo. Cosa avrei dovuto fare? Perseguitare quei poliziotti ottusi? Costringere Alex e la sua famiglia a denunciare finalmente il tutto? (ma perché non denunciano ancora? Cosa temono? Jack si è presentato spontaneamente dai poliziotti…)
Un urlo –simile alla Voci ma inconfondibilmente Umano– interuppe il flusso dei miei pensieri.
“CIOE’ HAI SAPUTO?!”
Era Chiara.
“Si. Il Giornalista mi ha mandato una mail…”
“Bah! Mai letto un articolo più cretino! Perché non fanno scrivere a lui?”
“Sei arrabbiata per questo?” la stuzzicai.
“Tutta la città non parla d’altro! Sono tutti scandalizzati per questa cosa! Certo come sempre si limitano a borbottare e poi agire mai…però…ma sai la verità qual è?”
“Tutti scandalizzati” –ironizzai– “perché non fanno scrivere al Giornalista?”
Chiara non mi sentì nemmeno: “Quella cosa della denuncia finta è stata tutta inventata dal padre di Jack Bicipite per evitare lo scandalo e quei poliziotti corrotti gli hanno dato retta.”
“Ma scusa non ti sembra un po’ assurda come cosa?”
“A te sembra credibile, la storia di uno che si denuncia alla polizia?”
“Beh io so che non è vero, però la cosa è sostenuta da qualche prova e i poliziotti potrebbero essere in buona fede. In fondo Alex e la sua famiglia non hanno ancora denunciato l’aggressione.”
“PROVE? Quali sarebbero queste prove?”
“Io…non…”
“E’ stato sicuramente suo padre. Quel figlio di mignotta!”
“Ma insomma! Chi è il padre di Jack Bicipite?”
“Non lo sai?”
“No”
“Questo spiega tutto. Comunque suo padre è il Corea.”
“Chi?”
“Il Corea. Il sindaco.”
“Ma il sindaco non si chiama…”
“Si Urano. Però tutti lo chiamano il Corea perché ruba come la Corea ha rubato all’Italia i Mondiali del 2002.”
“Capisco.”
“Non vorrai mica lasciar correre tutto?”
“No no. E’ evidente che il mio compito non è ancora finito.”
Chiara sorrise: “Sei il mio mostro preferito” e mi abbracciò calorosa. Assorbii quell’efficace iniezione di affetto e ricambiai il suo sorriso.
“Devo riflettere su cosa fare e cosa non fare. ”
“Beh certo”

Come ho già detto quando devo riflettere non c’è luogo migliore del Salone delle Voci su alla Samco.
Ero molto arrabbiato. Tutto il mio lavoro e tutta la mia fatica in fumo. Il terribile Jack Bicipite aveva dimostrato più cervello e senso di responsabilità di suo padre. Il Corea non l’avrebbe passata liscia. Quello che aveva passato il figlio era niente in confronto alla furia che avrei scatenato contro di lui. Ma avevo bisogno di un buon piano. Il Giornalista mi aveva fornito un’ampia carrellata di articoli locali sull’attività del Corea. Dovevo conoscerlo e così iniziai a sfogliarli:

L’ex custode della Samco entra in Parlamento.
C’è anche un ex operaio fra i nuovi eletti alla Camera dopo le recenti elezioni politiche. Silvano Borelli, fino a pochi anni fa, era il custode della Samco, la nota azienda chimica la cui improvvisa chiusura fece scalpore. Stando alla biografia che ha diffuso in campagna elettorale, Borelli dopo il licenziamento, investì i soldi della liquidazione per rilevare un piccolo supermercato. Poco dopo fondò la sezione cittadina dell’Associazione Commercianti, diventò presidente del Consorzio Artigiani, dell’associazione “Amici del Canile” e del Comitato “Amici dei Bambini Africani”. Il suo ruolo attivo e il suo impegno lo hanno reso popolare in provincia tanto da spingere i vertici del partito ad inserirlo nelle liste per le elezioni nazionali. “Non sarò il solito politico” –giura nel comizio di ringraziamento– “io non dimenticherò il mio passato di persona qualunque e porterò le battaglie della gente comune dentro il Palazzo!”
 “Frasi già dette e sentite!” attaccano gli avversari sconfitti, che aggiungono domande e misteri sul passato del nuovo deputato. Altro che associazione dei commercianti e ruolo sociale: “Nessuno conosceva Borelli prima d’ora.” La vera ragione della sua elezione starebbe nei segreti che il custode della ex Samco porterebbe con sé. Voci mai provate di esperimenti illegali che si sarebbero tenuti negli stabilimenti e dei quali sarebbe stato testimone. Il suo silenzio in questi anni sarebbe stato premiato con l’elezione in Parlamento. “Calunnie, solo calunnie dettate  dall’invidia.” risponde il neo-onorevole a denti stretti che ha minaccia querele a raffica.

Tangenti sulla nuova superstrada: nei guai politici e imprenditori
Terremoto in città: scattano le manette ai polsi nei confronti di cinque imprenditori. Sono accusati di aver versato tangenti per avere agevolazioni negli appalti intorno ai lavori sulla nuova superstrada. Lavori aperti un mese fa e poi subito interotti per ragioni mai chiarite. Avvisi di garanzia anche per alcuni politici locali, fra i quali spicca l’onorevole Borelli…

La Camera nega l’autorizzazione. Borelli si salva dall’arresto
Con una maggioranza bulgara, la Camera dei Deputati ha negato l’autorizzazione a far arrestare l’onorevole Silvano Borelli, secondo i magistrati a capo di un complesso sistema di tangenti e corruzione intorno alla costruzione di una nuova superstrada…

“Borelli si candida a sindaco: superstrada e investimenti per uscire dalla crisi”
“Con Borelli, la città rinasce!” così tuona il gigantesco slogan dai manifesti che ieri sera hanno ricoperto ogni possibile muro. Il deputato, dopo quattro anni trascorsi nel Parlamento nazionale, ha deciso di scendere in campo e annuncia la sua candidatura alla poltrona di primo cittadino. Ambizioso il suo programma per uscire dalla crisi: “Investimenti europei per il rilancio dell’agricoltura e del turismo, costruzione di una nuova area industriale agevolata, sfruttamento delle fabbriche abbandonate per la creazione di una centrale solare all’avanguardia e infine apertura definitiva dei cantieri della nuova superstrada”

Elezioni, Borelli sotto accusa ma vola nei sondaggi
Tutti contro Borelli e le sue ultime uscite. Ma lui il super-deputato non si scompone. Nel corso della sua pirotecnica campagna elettorale ha promesso di tutto ed è certo che le ultime accuse piovute sulla sua testa non gli faranno perdere un voto. “Mi accusano di voto di scambio” –ci spiega– “ma è voto di scambio ascoltare gli elettori, stare in mezzo alla gente e cercare di risolvere i loro problemi?” La folla circonda il candidato sindaco. Una donna invoca un posto di lavoro per il figlio trentenne precario. Borelli consola la signora: “Con la superstrada ci sarà lavoro per tutti!” Le lascia il suo biglietto da visita: “Quando sarò eletto passi in Comune e parleremo meglio della posizione del suo ragazzo”. Arrivano due pensionati e si lamentano dei lampioni sempre spenti sotto casa: “Quando sarò eletto attiveremo un ufficio apposta per raccogliere tutti i disagi dei cittadini!” e ancora alcuni operai protestano per l’ennesima cassa integrazione: “Sono un ex operaio” –risponde commosso Borelli– “capisco la vostra difficile situazione.” Non sempre va bene però per l’onorevole; un gruppo di ragazzi gli ricordano l’inchiesta per corruzione e il suo salvataggio in extremis. Borelli gli ignora: “I miei avversari” –dice scrollando le spalle– “li pagano e li addestrano per contestarmi queste ridicole accuse. È inutile ripetere loro che ho già dimostrato da tempo la mia innocenza.”


Continua...

lunedì 29 agosto 2011

Pietre coreane/4


Per leggere la terza parte: http://strane-storie.blogspot.com/2011/08/pietre-coreane3.html

Quarta parte
Tutta quella confusione non mi aiutava a riflettere. Mi alzai e cercai di chiamare Matteo al cellulare ma non mi rispose. Decisi di tornare stancamente alla Samco. Passeggiando nel Salone delle Voci avrei disteso i nervi e trovato un po’ di pace.
Ma non fu così.
Camminando avevo la sensazione di essere inseguito. Deviai in una piccola via laterale e intravidi una figura alle mie spalle.
Deglutii e mi voltai.
La figura era scomparsa.
Incerto ed impaurito ripresi la strada verso casa, voltandomi ogni tanto per capire se venivo ancora pedinato. (Chi sei? Cosa vuoi?)
Arrivato alla Samco trovai Matteo sul piazzale fuori (lui lì dentro non entrava mai, neanche a pagamento) che si sfogava imprecando e prendendo a sassate un cassonetto dell’immondizia.
“Quel pezzo di merda…” mi salutò.
“Tu lo hai provocato.” Notai che le Voci erano più forti del solito quella sera. Si sentivano persino fuori da lì.
“E’ vero, io in passato ero uno come Jack Bicipite ma sono anni che ho smesso. Eppure sembra che uno non si libera mai dalle proprie colpe.”
“Su non dire così” tentai di consolarlo. “Ti riscatti ogni giorno aiutandomi a combattere quelli come Jack Bicipite.”
Mugugnò poco convinto. Mi tornò in mente il Brutto Episodio e una nube malinconica mi sorvolò l’anima.
“Vuoi entrare dentro?”
Matteo si spostò di qualche metro poi un urlo acutissimo gli fece cambiare idea: “Sai che non posso. I gas…”
“Capisco” risposi. Lo ascoltai con pazienza mentre si sfogava. Poi al tramonto tornò a casa e io mi diressi nei sotteranei. Riflettere era impossibile. Nel Salone le Voci sembravano impazzite. Giocai un po’ con Dylan, poi mi decisi a salire per capire la ragione di tanto baccano.

“UCC JA” “UCC” “UCC” “JAC” “UCC” “COR” “JAC” “JAC” “UCC” “U” “CC” “UCC”

Quelle strane scritte con lo spray blu ricoprivano quasi tutto il muro. Era entrato qualcuno quella notte. Le Voci ululavano e protestavano per la profanazione.
Le scritte era tremolanti e sbilenche, oltretutto non avevano alcun senso. O l’autore era ubriaco o non riusciva mai completare la frase perché ogni volta veniva interrotto dalla paura delle Voci.

Optai per la prima scelta e trascorsi la mattinata a pulire il Salone.

Poco dopo ritornò Matteo. Mi consegnò l’indirizzo dove viveva Jack Bicipite. Non mi stupì scoprire che stavamo parlando del quartiere aristocratico.

Quella notte stessa uscii di nuovo. Le Voci non gradirono la cosa urlando disperate,  temendo anche nuove intrusioni in mia assenza.
A passo veloce attraversai tutta la città. Era una notte tranquilla, il cielo era pulito e s’intravedevano le stelle oltre l’arancione dei lampioni.
A quella via trovai una villa elegante circondata da un giardino profumato. La luna si specchiava nella piscina.
Le finestre erano tutte spente, tutti dormivano.
Potevo entrare in azione.
Giunsi le mani come stessi pregando. Poi lentamente staccai le mani mantenendole però parallele. Poi le ricongiusi e le ristaccai. Ripetei quell’operazione quattro volte.
Si aprì uno schermo nell’aria.
Con le dite vi scrissi:
“JACK BICIPITE”

Tutto si fece buio intorno a me.
Mi risvegliai in un raffinato salotto. Ero dentro la villa. Ora doveva raggiungere il punto esatto della casa dove si trovava il ragazzo in quel momento. Unii perciò le mani e ripetetti tutte le manovre finchè non mi ritrovai nella sua cameretta.
Jack si era addormentato vestito mentre guardava qualcosa in tv. Aveva i capelli neri gelatinati verso l’alto, la faccia contratta, un vistoso tatuaggio sulla spalla.
Spalancai le braccia sopra di lui.
Jack era sveglio e camminava accanto a me. Io ero altissimo e lui piccolo piccolo. Si guardava intorno confuso e spaventato.
Una pioggia di sassi e pietre iniziò a cadere.
Jack correva e urlava ma le pietre lo inseguivano ovunque.
Alex giaceva insanguinato in un angolo.
Le pietre urlavano “Anche tu! Anche tu! Anche tu!”
Jack correva e urlava.
Le pietre aumentavano e lo inseguivano ancora. Jack cadde a terra implorando pietà.
Il cielo diventò viola. Jack si risvegliò in un giardino giallo con un laghetto azzurro al centro.
Si specchiò nell’acqua e l’acqua assunse un color rossastro.
La sua bocca perdeva sangue.
Tornarono a cadere pietre.
Alex era ora un gigante mostruoso e lo inseguiva. Dietro di lui lo seguivano altre sue vittime. Più si avvicinavano e più s’ingrandivano.
Jack cadde a terra senza più parole.
Alex lo raccolse e iniziò a torturarlo.
Anche gli altri si unirono a lui.
Jack implorò ancora pietà. Aveva tutto il corpo ricoperto di sangue. Sangue che colava da ferite lunghe dalla testa ai piedi.
Un urlo disperato squarciò il tutto.
Jack Bicipite si era svegliato.
Sudava e piangeva. Si controllò la pelle, ma non aveva ferite. Rassicurato si gettò sul cuscino e riprese fiato.
Decisi che per quella notte era sufficiente così e me andai.  

Alla Samco notai con sollievo che non c’erano state nuove intrusioni. Poco dopo si presentò il Giornalista.
“Oh! Finalmente! Non ne potevo più di aspettare! Questo posto è inquetante di notte…e poi quelle Voci! Ma come fai a sopportarle?”
Lo guardai stupito. Non era da lui aspettare così tanto.
“Stavo lavorando.”
“Beh in agenzia hanno lasciato questo foglio per te.” –si massaggiò un timpano– “ma come fai a sopportarle?”
“Qualcuno è entrato qua” –bofonchiai leggendo il messaggio battuto al computer– “e sono arrabbiate”
 So che tu combatti i prepotenti. Nessuno è più prepotente di Jack Bicipite. Se davvero li combatti devi combatterlo e ucciderlo. So che sai quello che ha fatto. Abita in Viale Gelsomini 23. Un amico
A penna avevano aggiunto frettolosamente: “Mi dispiace se ho sporcato il suo muro.
“Ti ringrazio per la pazienza” –lo guardai– “Ma immagino che non hai aspettato così tanto solo per darmi questo messaggio vero?”
Mi salutò incerto: “Devo andare”
“Aspetta!”
Silenzio.
“Che succede?” domandai.
 “M-mi dispiace”
“Non devi chiedere scusa a me”
“Ciao Urano” e se andò.
Trascorsi la notte cercando di capire chi fosse l’Amico del Messaggio. Alla fine mi convinsi che non poteva essere altri che Alex.

Quinta parte
L’indomani Jack si recò con il motorino nella piazza principale. Si buttò su una panchina annoiato, in attesa di qualcosa o forse del niente.
La paciosa aria del mattino lo fece assopire.
Riaprì gli occhi sbattendo le palpebre.
Alex era accanto a lui.
Jack urlò.
Era solo.

Al rientro trovai sul muro esterno una nuova scritta: “URANO BASTARDO! DEVI UCCIDERLO!”
Alex iniziava a stufarmi. Lui e la sua famiglia neanche avevano voluto denunciarlo e veniva a deturparmi ogni volta il mio muro. Non potevo occuparmi di lui, avendo altro cui pensare. Se chiamavo Matteo, lui sarebbe stato ben felice di pedinarlo e coglierlo con le mani nel sacco alla prossima scritta. Ma quello era di nuovo in bilico con la scuola e rischiava un’altra bocciatura. Meglio lasciar perdere. “La scuola è importante” diceva sempre il mio Inventore. “Ma quello era uno dei peggiori secchioni della storia” mi rispondono ogni volta che lo cito.

Jack Bicipite fu davvero un tipo tosto. Scavando nel suo inconscio scoprì altre vittime del passato e anche quelle tornarono a torturarlo ogni notte. Alex diventò una presenza fissa della sua giornata. Lo vedeva ovunque. Si muoveva inquieto e nervoso, sentendosi un po’ cretino. Diede la colpa di tutto quello al fumo, poi allo stress, alla famiglia, alla televisione, alla sua infanzia infelice e infine alla società. Ma queste giustificazioni non reggevano neanche con sé stesso.
Quella sera era stato invitato ad una festa in discoteca. Era il re delle serate in città, una festa non era una vera festa senza di lui.
Ma era troppo stressato (e impaurito) per andare. E se quelle allucinazioni si sarebbero verificate anche lì, davanti a tutti?
Prese il telefonino e mandò un sms per disdire.
Alex lo derideva.
Si alzò e tentò di prenderlo a pugni ma quello gli sfuggiva sempre.
“Pensi di farmi paura?” urlò. Quindi prese a pugni l’armadio e iniziò a cercare qualcosa per la serata.

Teso e impacciato si lavò, si vestì e sistemò i capelli. “Vedi che non mi fai paura” borbottava ogni tanto. Alex, in effetti, non si vide per tutta la preparazione e la cosa lo rassicurò. Forse lo aveva sconfitto.
Lanciò uno sorriso maligno allo specchio e al posto della sua faccia vide il volto di Alex.
Spaccò lo specchio con un pugno.
Le nocchie erano ferite e perdevano sangue. Imprecando le baciò e le carezzò, aspettando che la mano si cicatrizzasse. Guardò lo specchio ferito, era un bel guaio ma tanto lo sapeva che i suoi non avrebbero osato lamentarsi. I poveri piangono per le cose rotte, i benestanti come loro potevano ricomprarle.  

La familiare musica ripetitiva e assordante della discoteca lo rassicurò; di Alex non c’era neanche l’ombra, dopotutto quella era una super festa in un super locale. Non era quello il luogo e l’ambiente adatto per un simile sfigato ciccione.

Si lanciò sulla pista e iniziò a saltare frenticamente in mezzo alla calca. Chiuse gli occhi e li riaprì. Sorridendo (Alex non c’era), addocchiò una bella ragazza che beveva un superalcolico al bar. Lei sembrò accorgersi dello sguardo. Si scambiarono un’occhiata maliziosa.
Jack si guardò intorno. Nessuna traccia di Alex.

I salottini con il divano del secondo piano era riservati a chi pagava di più come in tutti i locali. Ma Jack Bicipite era Jack Bicipite. Il gestore gli diede le chiavi senza fiatare e la coppietta si appartò lì. Alex non c’era e la serata stava andando bene.

Si sdraiarono sul divano e si baciarono. Jack riprese fiato e constatò con piacere che il volto della ragazza non si era trasformato in quello di Alex. (E se fosse Alex travestito da donna?)
Ridacchiò per quello stupido pensiero e riprese a baciarla.
La ragazza gemeva sotto di lui. (Lo so…sono un maestro piccola!)
(E’ Alex travestito da donna!)
E se fosse davvero così?
Lasciò scivolare una mano fra le sue mutande e si accertò che non era Alex.
Tranquillizzato si lasciò andare.

Scaricata tutta la tensione che aveva accumulato in quei giorni, Jack si rivestì e insieme alla ragazza uscirono dal salottino per tornare ognuno alla propria vita. Scese la piccola scaletta circolare che li conduceva alla pista e osservò le teste che saltavano e ballavano.
Alex.
Una fitta di terrore gli attraversò il corpo. Ancora lui?
Le teste sotto di lui ancora saltavano e ballavano mentre lui sveniva sulle scale. Se ne accorse un bodyguard che se lo caricò e lo trascinò maledicendo la droga e i giovani d’oggi. Quel locale aveva disposizioni precise in questi casi: i ragazzi venivano portati in quello che veniva chiamato il Reparto di Rianimazione. Era una stanza dove alcuni infermieri, assoldati di nascosto, cercavano di recuperare i casi critici senza dover ricorrere all’ambulanza. Bisognava salvare il buon nome del locale prima di tutto.

Jack capì subito di essere finito alla Rinaminazione. La conosceva già. Ma Alex non c’era.
L’infermiere che gli somministrava qualcosa, lo guardava con disprezzo.
“Guarda che non sono drogato”
L’infermiere non rispose.
“Io sono capace a regolarmi. E’ solo che da qualche tempo c’è…una cosa…che mi da’ fastidio.”
“Certo” gli rispose indifferente.
Jack si alzò per protestare ma era troppo debole per farlo.
“Ti senti bene?” gli disse una voce con dolcezza.
Jack alzò gli occhi e riconobbe la ragazza con cui aveva fatto l’amore poco prima. Stava rinunciando alla festa per stargli accanto.
Il ragazzo si commosse. Era poco abituato ai gesti d’affetto. Scoprì con dolore che non si ricordava neppure il suo nome. Forse neanche glielo aveva chiesto.
“Ti giuro” –gli disse scusandosi– “che non mi sono preso niente.”
La ragazza gli accarezzò il volto: “Non preoccuparti. Non devi giustificarti.”
La musica house rimbombava fuori dalla Rianimazione. Tunz tunz tunz. Come i loro cuori in quel momento.
Jack decise che era giunto il momento di aprirsi. Se avesse tenuto ancora dentro di  sé quell’angoscia sarebbe esploso.
“Ma tu a questo Alex hai fatto qualcosa?” le disse lei.
“Beh ecco io” borbottò Jack. Alla fine disse la verità: “Non lo so che avevo quel giorno.”
“Forse il tuo è semplicemente senso di colpa. Forse se vai dalla polizia e confessi tutto starai meglio.”
Jack rimase a fissare gli altri disperati nel Reparto. Come si era ridotto. Pensò a come sarebbe stato ricominciare ripartendo dai suoi errori, dal suo passato.
“La gente ti condanna per sempre” mormorò Jack poco convinto.
La ragazza non gli rispose. Il suo volto assunse un’espressione malinconica. “Tutti sbagliano. Sbagliamo perché siamo umani. Ma penso che ripartire imparando e rimediando ai propri errori sia sempre la cosa migliore da fare”.

Jack le sorrise: “Sei molto saggia. Come sei finita qua dentro?” concluse, allargando le braccia fra la tristezza della Rianimazione.
“Adesso devo andare” disse la ragazza. Lo baciò, si alzò e se andò.
“Aspetta” la chiamò Jack. Quando la ritrovava più una così?
“Aspetta”. Lei non lo sentì. Maledetta musica.
Si alzò e uscì dal Reparto. “Sto bene, mai stato così bene” fece all’infermiere.
Ma lei era sparita.

Jack iniziò a correre fuori dal locale. Non c’era nessuno. Chiese al buttafuori se l’avesse vista e gliela descrisse nei minimi particolari.
“Mi dispiace ma non ci ho fatto caso.”
Rientrò e iniziò a cercarla. Tutti a saltare, a dimenarsi in quella maniera così stupida, ma lei dov’era?
Salì sulla scala a chiocciola. Forse dall’alto avrebbe saputo distinguere la sua sagoma.
Niente.
Scendendo incrociò un suo amico.
Lui lo guardò preoccupato
“Cosa cazzo vuoi!” gli gridò Jack.
“Calmati! Vedo che ti sei ripreso. Ma cosa ti eri fumato?”
“Ma niente! Adesso lasciami sto cercando una che ho conosciuto prima!”
“Non sapevo si rimorchiasse pure in Riaminazione!”
“Fanculo”
“Oh calmati!” lo strattonò l’amico bestemmiando: “Ma che ti hanno dato lì dentro? È colpa mia se appena sei entrato in discoteca, ti sei sentito male e ti hanno portato via?”
Ma cosa stava dicendo? Ricordava bene nei minimi dettagli che prima di entrare lì aveva conosciuto quell’angelo.
Imprecò contro di lui e continuò a cercare. Scoprì poco dopo che ricordava male:  aveva passato l’intera serata nel Reparto. L’angelo era stato solo un bellissimo sogno.

Ma cosa credevate? Che il vostro Urano agisse soltanto attraverso incubi e orrori?

La polizia verbalizzò la denuncia di Jack Bicipite alle ore nove e venticinque del mattino.
Jack si auto-accusò dell’aggressione ad Alex e di altri episodi di bullismo e violenza contro persone e cose. 
Agli agenti svutò il cuore e la coscienza e mi sembrò persino pentito. Ero soddisfatto. In ogni caso il mio compito si concludeva lì. Alex aveva avuto giustizia e  non mi era permesso interferire oltre con le anime degli altri.

La doccia fredda arrivò diverse ore dopo servendosi di una mail del Giornalista.
Ciao Urano, ti allego questo articolo che NON ti farà piacere leggere

Continua...